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Frutta e verdura, perché meglio intere che spremute

28 Marzo 2019 - di Silvia_Di_Pasquale

ROMA – Meglio mangiare frutta e verdure intere che spremute. Sebbene i succhi detox siano una delle tendenze di questi ultimi anni, attraverso la spremitura possono andare persi nutrienti importanti per la salute. Con la spremitura: “Perdi fibra nei succhi di frutta e verdura e questo si traduce in succhi che hanno la capacità di aumentare il livello di zucchero nel sangue in modo più drammatico che quando mangi il frutto o il vegetale (al naturale, ndr)”, fa sapere Robin Foroutan, dietologo e portavoce dell’Accademia di Nutrizione e Dietetica, come riportato dal sito della CNN.

Oltre alle fibre, si perdono anche alcuni polifenoli e antiossidanti presenti nell’albedo e nelle bucce di frutta e verdura, che non possono essere estratti, ha specificato Mario G. Ferruzzi, un professore nel Dipartimento di Scienze dell’alimentazione, bioprocesso e nutrizione presso la North Carolina State University. Se comunque non riesci a rinunciare alla spremuta: “È meglio bere subito il succo, perché l’attività antiossidante e enzimatica diminuisce nel tempo”, ha detto Foroutan. Attenzione ai frullatori troppo caldi, che possono uccidere enzimi o nutrienti. Meglio optare per il frullatore, per cui vale però lo stesso principio del calore. Altra alternativa è quella di recuperare la polpa eliminata dall’estrattore e utilizzarla per altri piatti. Attenzione inoltre agli zuccheri aggiunti dei succhi di frutta, che siano industriali o biologici.

Meglio evitare i succhi a colazione e nel pomeriggio. Il fruttosio, lo zucchero contenuto nei succhi e più in generale nella frutta, non viene ‘lavorato’ dal fegato come si credeva in precedenza, ma dall’intestino tenue il quale durante momenti in cui si è sperimentato un digiuno (come appunto la colazione dopo una notte in cui non si è mangiato o lo spuntino a metà pomeriggio distante dal pranzo) è più vulnerabile a questa sostanza e non riesce ad elaborarla bene. A evidenziarlo è stato uno studio della Princeton University, pubblicato sulla rivista Cell Metabolism.

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