Diabete: passi avanti verso l'insulina in pillola

Diabete: passi avanti verso l’insulina in pillola

13 Dicembre 2022 - di Claudia Montanari

L’insulina in pillola al posto delle iniezioni: un sogno per chi soffre di diabete che potrebbe diventare realtà in un futuro non troppo lontano. Una molecola che imita l’insulina e che può essere assunta oralmente è stata individuata da ricercatori del Walter and Eliza Hall Institute (WEHI) di Melbourne, in Australia. I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Nature Communications, aprono nuove strade per lo sviluppo di farmaci orali per le persone con diabete.

Le persone con diabete di tipo 1 non possono produrre insulina, ormone chiave necessario per controllare i livelli di zucchero nel sangue, e necessitano più iniezioni giornaliere di insulina per tenere sotto controllo i livelli di glucosio. “Da 100 anni a questa parte lo sviluppo di una pillola di insulina è stato un sogno per i ricercatori ma, dopo decenni di tentativi, c’è stato poco successo”, spiegano Nicholas Kirk e Mike Lawrence ricercatori di Wehi, principali ricercatori dello studio.

L’insulina in pillole, difficile da produrre

L’insulina, infatti, è difficile da produrre in pillole perché particolarmente instabile e immediatamente degradata dal corpo durante la digestione. La ricerca ha ora subito un’accelerazione con lo sviluppo della microscopia crioelettronica (cryo-EM), una nuova tecnologia in grado di visualizzare molecole complicate in dettaglio atomico, consentendo di generare rapidamente immagini 3D del recettore dell’insulina.

Lo studio

Gli esperimenti cryo-EM hanno identificato una molecola peptide che imita l’insulina e può legarsi e attivare il recettore dell’ormone: questo rappresenta il primo passo in un percorso che indirizza le cellule ad assorbire il glucosio quando i livelli di zucchero nel corpo sono troppo alti. “È ancora una lunga strada che richiederà ulteriori ricerche, ma è entusiasmante sapere che la nostra scoperta apre le porte ai trattamenti orali per il diabete di tipo 1”, concludono i ricercatori.

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