Caffè, un aiuto contro glicemia alta e diabete

Diabete, il caffè un aiuto per tenere a bada la glicemia

12 Aprile 2019 - di Claudia Montanari

ROMA – Quando si ha il diabete, uno degli step più importanti è quello di tenere bassi i livelli di glicemia nel sangue. A tal proposito, ci sono buone notizie per gli amanti del caffè. Diversi studi hanno dimostrato, in passato, che il caffè è un ottimo alleato contro la glicemia alta e per prevenire il diabete. Tutto merito del cafestolo, una sostanza che si trova nel caffè e che sarebbe in grado di ridurre la glicemia e aumentare la produzione di insulina. Nel 2018 è stata pubblicata una maxi ricerca, un documento di revisione in cui sono stati esaminati 30 studi scientifici su una popolazione di 1,2 milioni di persone ed è stato dimostrato che il caffè riduce il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 di circa il 30%.

Il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 diminuirebbe rispettivamente del 7% in caso di caffè con caffeina e del 6% in caso di caffè decaffeinato per tazza al giorno. L’analisi è stata pubblicata su Nutrition Reviews.

Gli autori dello studio hanno esaminato i meccanismi biochimici della bevanda: in particolare, grazie alle sue proprietà antiossidanti, l’assunzione a lungo termine della bevanda nera può ridurre lo stress ossidativo, associato, oltre che a numerosi effetti avversi sulle funzioni cardiovascolari, metaboliche e renali, anche all’insorgenza di diabete di tipo 2. Numerose ricerche hanno inoltre dimostrato che il consumo regolare di caffè può ridurre i livelli dei marcatori pro-infiammatori e di conseguenza l’infiammazione cronica di basso grado, che è stata collegata a disturbi cardiovascolari e metabolici, come il diabete di tipo 2.

Nel 2016 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso il caffè dalla lista dei possibili cancerogeni per gli esseri umani e numerose ricerche scientifiche affermano che il consumo moderato, 3-5 tazzine al giorno, è protettivo verso una serie di patologie come il tumore al fegato e all’endometrio. E riduce fino al 27% il rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer. Gli autori della review sottolineano comunque che sono necessari studi a lungo termine per confermare l’associazione protettiva e per approfondire i meccanismi della relazione. 

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