Dress code da lavoro

Il “dress code” da lavoro: no a infradito e minigonne

5 Luglio 2012 - di Claudia Montanari

ROMA – Sopravvivere in giacca, camicia e cravatta in piena estate è arduo, siamo d’accordo. Ma esistono dei capi “tabù” assolutamente vietati da indossare in ambiente di lavoro, come infradito e pantaloni della tuta.

Secondo un sondaggio realizzato da InfoJobs.it, per quanto riguarda gli uomini solo un 9% evita di indossare t-shirt in ufficio, mentre l’8% si disfarebbe volentieri della cravatta.

Tra i capi d’abbigliamento meno graditi in ambiente lavorativo per quanto riguarda invece le donne, minigonna (39%), scollature (19%) e scarpe da tennis (18%). Infine, se gli uomini hanno via libera nell’indossare pantaloni jeans (nessun contrario), anche per le donne non è considerato inopportuno (solo il 2% lo bandirebbe).

Così, si scopre che, tra colleghi, mal si tollerano barba lunga e non curata per lui (61%) e trucco pesante (55%) e abbigliamento eccentrico (50%) per lei. I tatuaggi ostentati sono considerati di cattivo gusto per entrambi i sessi (46% non li gradisce sull’uomo, 44% sulla donna). Un occhio di riguardo anche per le mani: una manicure trascurata è inopportuna per lui (37%), quanto per lei (28%). Al contempo, una manicure femminile estrosa ed eccentrica non è ben vista dal 19% degli intervistati. Infastidisce, infine, un profumo eccessivo da donna (37%) così come dei capelli troppo lunghi su un uomo (27%).

In generale, tra i 450 rispondenti, il 7% dichiara che ognuno è libero di indossare ciò che preferisce, mentre l’87% riconosce regole di buon costume, che garantiscono il rispetto degli altri. Un categorico 6% afferma, invece, che si debba indossare sempre un completo professionale, una sorta di ‘divisa’ che garantisca rigore e accuratezza in ogni occasione, poiché i dipendenti incarnano l’immagine che l’azienda vuole dare di sé all’esterno.

E, se è vero che la prima impressione è quella che conta, la maggioranza dei candidati tiene a lasciare un buon ricordo ai selezionatori in fase conoscitiva, anche attraverso il proprio abbigliamento. Due candidati su tre (66%), tuttavia, ammettono di essersi vestiti normalmente durante il colloquio di lavoro, con abiti che rappresentassero la propria personalità, senza aderire a schemi predefiniti. Il 25%, al contrario, confessa di aver tirato fuori dall’armadio un abito speciale per l’occasione, mentre il 9% ne ha perfino acquistato uno nuovo appositamente.

Riguardo alla possibilità di vestirsi in maniera più comoda con l’avvicinarsi del fine settimana, il cosiddetto ‘Casual Friday’, i pareri sono discordanti. Il 32% gradirebbe veder introdotta la policy anche nella propria azienda, il 22% la pratica e apprezza, mentre un 7% la trova inutile. E un considerevole 40% non è interessato alla questione, forse perché libero di vestirsi come preferisce durante l’intera settimana o forse perché perfettamente a proprio agio in tenuta ‘da lavoro’.

“La propria immagine rappresenta il primo biglietto da visita ed è innegabile, come testimoniano gli stessi risultati del nostro sondaggio, che il look in ufficio possa influenzare l’opinione di colleghi e business partner”, afferma Vittorio Maffei, managing director di InfoJobs.it. “Trovare il giusto compromesso tra il gusto personale nel vestire e la realtà lavorativa, più o meno formale, è essenziale – sottolinea – per permettere ai dipendenti di sentirsi a proprio agio nell’ambiente lavorativo. Politiche come quella del ‘Casual Friday’ permettono, da un lato, di dare ai dipendenti una maggiore libertà in fatto di abbigliamento, dall’altro di ottenere una maggior soddisfazione in termini di employer engagement”.