polizia contro scuola diaz

Sentenza Diaz: il caso non è chiuso

8 Luglio 2012 - di marina_cavallo

ROMA – La sentenza per le violenze alla scuola Diaz di Genova è stata finalmente emessa con un giudizio di condanna…..ma il caso si può considerare veramente chiuso? Fra le tante voci che pensano che molte, troppe persone (o meglio personalità) sono rimaste impunite riportiamo quella di Marco Aragno che su you-ng.it scrive:

Dopo 11 anni è stata messa la parola fine ad una una delle vicende giudiziarie più controvese della storia italiana. L’irruzione e il pestaggio consumati all’interno della scuola Diaz durante il G8 di Genova hanno finalmente avuto dei nomi, delle facce, dei colpevoli. I vertici della polizia che costituivano la catena di comando dell’epoca sono stati decapitati. I giudici della Corte di Cassazione hanno infranto il cerchio di omertà creatosi intorno a una vicenda di sangue per la quale in qualsiasi altro Paese occidentale ci sarebbero state le scuse ufficiali da parte delle forze dell’ordine e le dimissioni dei funzionari responsabili. Ma un’assunzione di responsabilità in undici lunghi, interminabili anni non è mai avvenuta. Solo adesso, in quelle 9 ore di camera di consiglio, gli ermellini hanno ristabilito il valore della parola democrazia, dopo che una delle parentesi autoritarie più gravi degli ultimi decenni ne aveva messo in discussione il significato.

 Questo, si sa, è il messaggio di facciata che abbiamo raccolto una volta appresa la notizia. Ma è tutto? Certo che no. Anche se il pronunciamento del giudice di massimo grado ha avuto un ruolo fondamentale nello stabilire la verità processuale, tantissime sono le zone d’ombra che non sono state illuminate. Restano coperti i volti di quei 400 poliziotti che si macchiarono del pestaggio. Restano impuniti i ‘mandanti’ politici che agirono dietro le quinte, impartendo direttive ai vertici della Polizia. Restano sconosciuti tanti dettagli di quella notte in cui lo Stato italiano mostrò il suo volto più feroce e liberticida.

 Ma proviamo, in breve, a fare alcuni nomi e i cognomi, a dare un’identità a quelli che sono gli imputati ideali di un processo che non si celebrerà mai se non nelle aule degli storiografi e degli opinionisti: Giovanni De Gennaro, capo della Polizia nel 2001 e attualmente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; l’allora Vicepremier Gianfranco Fini, presente, non si sa a che titolo, al vertice della questura di Genova durante il quale fu decisa l’irruzione alla scuola Diaz; l’allora Ministro degli Interni Claudio Scajola, che all’epoca dei fatti difese a spada tratta il pugno duro usato dalle forze dell’ordine contro i manifestanti; l’allora Premier Silvio Berlusconi, che durante una breve conferenza stampa tenutasi il giorno dopo la carneficina al Diaz autocelebrò dinnanzi al mondo il successo del suo Governo nella lotta ai black bloc. Insomma, una fitta rete di responsabilità politiche non è stata smascherata e sarà consegnata esclusivamente al giudizio degli storici. Le trame attraverso le quali il volere politico si tramutò in azione autoritaria restano sottotraccia.

 Del resto, le parole di Rinaldo Romanelli, difensore del comandante del VII Nucleo Mobile Vincenzo Canterini, pesano come pietre: “se dovessimo ragionare da storici, ma con la logica della sentenza della Corte di appello, direi che, a spanne, alla condanna mancano almeno 500 persone”. Un iperbole non molto lontana dalla realtà. A sospendere la democrazia, quella notte del 21 luglio del 2001 in via Battisti, non fu di certo un pugno di uomini esasperati da giorni di scontri con i manifestanti e desiderosi di riscatto contro le ”zecche comuniste”, ma fu l’attuazione di una strategia della tensione che aveva il chiaro intento di intimorire le forze presenti in Italia e nell’Occidente ostili alla globalizzazione. Quel disegno politico, nel bene o nel male, è stato realizzato, e le forze che vi si opponevano represse nel sangue o ridotte al silenzio. Di quell’oscuro Leviatano sono state individuate le braccia, ma i poteri che lo manovravano sfuggono al giudizio dei tribunali. Speriamo, per lo meno, non sfuggano a quello della storia.