NYFW S/S2019 – Una fredda primavera (FOTO)

17 Settembre 2018 - di Claudia Montanari

Scostumista – NYFW S/S2019 – A distanza di qualche giorno dalla fine della New York Fashion Week mi chiedo: qual è stata la più grande novità? Qual è il designer che si è distinto di più? Mi vengono in mente alcune occasioni in cui ho dovuto trascinare mio figlio ad una sfilata e alla fine dello show il suo commento era “E’ la cosa più noiosa che abbia visto”. Giustificavo la sua osservazione pensando tra me e me:” Vabbè è piccolo, è maschio…ovvio che si annoi”. Ma a guardare le collezioni presentate nel corso della settimana della moda newyorkese devo ammettere che un po’ di noia l’ho provata anche io. Analizzando la collezione di Opening Ceremony ho sfiorato anche punte di assoluto tedio. Carol Lim and Humberto Leon hanno rinunciato alla sfilata, optando invece per uno spettacolo stravagante al leggendario locale Le Poisson Rouge di New York, curato dalla star di Drag Race, Sasha Velor. Più di 40 modelli e interpreti, tutti identificati come LGBTQ, indossavano abiti di Opening Ceremony durante le loro esibizioni, culminando in un finale che vedeva protagonisti Velor e altre drag queen che cantavano con Christina Aguilera. Tralasciando la particolarità dell’esibizione, il problema è che gli abiti sono decisamente brutti. Il baraccone e il voler stupire a tutti costi mi porta a voler privilegiare quindi brand che perseguono una classica e rassicurante eleganza. Allora mi rifugio negli abiti ‘rilassati’ in popeline di garza di Tory Burch, nelle tuniche in twill e seta, e nelle camicie da safari su gonne longuette a pieghe. Ma anche nell’austerità e nel comfort degli abiti creati dal team di Hugo Boss, per il loro primo show post-Jason Wu. I mini abiti increspati, la tavolozza nuda e polverosa, i top trasparenti a maniche lunghe, i bustier di seconda pelle e il pizzo ornato delicatamente sugli orli, Tom Ford riporta in vita l’estetica che oscillava tra minimalismo e sensualità voluta per Gucci negli anni ’90. E concordo pienamente con lo stilista texano quando afferma  che la moda ha smarrito un po’ la sua strada, ed è facile per tutti noi essere travolti da tendenze che hanno perso il contatto con ciò che le donne e gli uomini vogliono indossare. Se la moda americana è spesso definita come rigida ed austera, e può quindi sembrare un po’ fredda, le sorelle Kate e Laura Mulleawy di Rodarte sono la romantica e fiabesca eccezione alla regola. In altro modo Stuart Vevers si affranca dalla freddezza delle passarelle newyorkesi, progettando per Coach 1941, una collezione con ispirazioni wild west fatta di abiti sfilacciati, top pesantemente impreziositi, motivi Disney quasi orrendi sulle felpe, grossi cinturoni di cuoio con marsupi su lunghi abiti delicati, cappotti in pelle e giacche in cuoio con frange. Pochi ed essenzialissimi pezzi illustrano perfettamente l’understatement discreto che caratterizza il marchio The Row, in una tavolozza che si muove con grazia dall’avorio al sabbia, al carboncino, al nero. Marc Jacobs chiude la NYFW, nei suoi modelli ci sono richiami all’epoca degli anni ’80 di Yves Saint Laurent, al primo periodo di Karl Lagerfeld da Chanel, e al suo intenso archivio, ma tutto portato all’estremo: giganteschi collari Pierrot, enormi fiori di tessuto, gonne a tulipano iridescenti, grossi volant, balze ondeggianti e piume.  A far discutere però non è la sua collezione, tutt’altro che noiosa, bensì il suo ritardo di 90 minuti nel presentarla e il suo lungo post di scuse su instagram. Capisco la noia dell’attesa, ma la noia delle collezioni invece non ha scuse.                                                            di Annapaola Brancia d’Apricena

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