Matrimonio a maggio: ci pensa la sartoria Attilio Roncaccia

25 Marzo 2014 - di Claudia Montanari

E niente, con marzo inoltrato tornano anche le imbarazzanti mise di matrimonio di ragazze che si dichiarano ispirate ai look di Kate Middleton e che invece assomigliano a Tina Cipollari. Per non parlare delle acconciature che ormai, con le tendenze di oggi, il dubbio amletico sorge spontaneo: ma sarà shatush o ricrescita? A tutte voi, auguro di beccare una bustina intera di pistacchi chiusi.

Detto questo, io di matrimonio ne ho già parlato abbastanza in un altro post. Le regole di sopravvivenza per un matrimonio non dico perfetto ma almeno decente, il minimo sindacale per non sembrare zia Amelia tantomeno Kim Kardashian de noantri, sono già state definite.

Per chi non se ne ricorda nemmeno mezza e ha 5 minuti da buttare, può andare a rileggersele con calma cliccando QUI .

Tuttavia, per i più pigri, inserisco uno stralcio almeno delle regole base, l’ABC dei matrimoni:

“La punta di diamante, la regola delle regole, quella che conoscono pure i sassi, è ovviamente NO al BIANCO. C’è poco da dire: di bianco ci si veste la sposa. Ciò non vuol dire che questo non colore sia bandito. Un accessorio o un particolare, se di colore bianco, non farà certo credere agli invitati che la sposa siamo noi. Quello che è categoricamente vietato è indossare un abito bianco corto, lungo, di pizzo o di lino che sia. Nemmeno se è in ciniglia bio della papuania va bene. Non so,  a questo punto mettiamoci pure una scarpa bianca e un velo in testa già che ci siamo, no?

Altro sentito NO al TOTAL BLACK. E non tanto per i soliti provinciali motivi “il-nero-è-lutto-il-nero-porta-sventure”, no. Il fatto è che il nero al matrimonio è così ovvio. Ve lo concedo solo se avete scoperto di essere invitate al matrimonio di Charlotte Casiraghi e lo avete saputo appena due ore prima. Il total black è un’arma segreta, è l’ultima spiaggia in caso di necessità di sopravvivenza. Se abbiamo tempo di scegliere il nostro abito, evitiamo il nero e tutte le sue sfumature di banalità”

Detto questo, mia sorella, quella che tra le due è da sempre la-più-figa-la-più-brava ma non me l’ha fatto mai pesare, la classica secchiona che esce da sempre con il massimo dei voti ovunque, pure al questionario per ricevere la carta sconti del supermercato, a maggio ha un matrimonio.

E una che supera l’esame di Stato da Avvocato al primo colpo e con un voto altissimo, che lei non vuole mai che io lo dica in giro ma io lo faccio perché è tutto ciò che io non sarò mai in quanto a dedizione e impegno, una che al suddetto esame arriva tipo tra i primi 10, ecco non è che per un matrimonio si accontenta.

No, lei vuole il Top.

Così, è da gennaio che è alla ricerca di un abito adatto a lei e qual è a Roma quella sartoria in cui entri con problemi a carrettate ed esci con soluzioni e in cui non ti importa di lasciarci il portafogli perché ti trasforma da Pippa Middleton, la sorella sfigata della Duchessa, a Kate Middleton ovvero la Duchessa? Esatto, la sartoria di Attilio Roncaccia.

Per chi ancora non conoscesse questa antica sartoria Made in Italy, oltre ad auto-flagellarsi potrebbe correre ai riparti andando a visitare l’Atelier sito in Via delle Carrozze, a Roma. Un luogo magico e incantato, dal tono retrò, in cui si respira ancora l’aria delle antiche sartorie e in cui sono visibili, da una finestra dal sapore anni ’50, i sarti intenti a cucire abiti e giacche tutto interamente a mano.

Ebbene, in un tripudio di materiali e tessuti di altissimo livello, mia sorella ha trovato l’abito adatto a lei. Un tubino attillato, dal vago sapore anni ’60, realizzato internamente con tessuto jeans e rivestito di pizzo color cipria.

A completare il tutto, un paio di decolletè con il tacco color acqua marina, ideali per il clima primaverile di maggio.