Quando la “crisi” è una scusa: La Omsa si sposta in Serbia per il costo di manodopera, ma in realtà il settore va a gonfie vele

17 Gennaio 2012 - di Claudia Montanari

Non sono state di certo delle serene vacanze di Natale quelle di 239 operaie dello stabilimento OMSA di Faenza. Nerino Grassi infatti, il patron della Golden Lady, ha scelto il 27 dicembre 2011 per comunicare la sua decisione definitiva riguardo al destino dello stabilimento, da mesi in lotta per la difesa dei posti di lavoro: a mezzo fax ha annunciato il  licenziamento collettivo delle dipendenti alla data di scadenza della cassa integrazione, il 14 marzo 2012.

La giustificazione? “C’è la crisi”, è ormai la frase che si sente dire più spesso, in qualsiasi settore.

Ma i dati parlano chiaro, il settore tessile dei collant e delle calze in generale non è in crisi. Si legge su “Il Sole 24 Ore” come i ricavi tra il 2010 e il 2011 siano finiti tutti in positivo. In effetti l’OMSA, ovvero la Golden Lady, non è una azienda che non può fare a meno di chiudere perché azzoppato dalla più grave crisi economica mondiale dal 1929. La Golden Lady non è in crisi, va bene.

E allora, perchè la decisione di chiudere le fabbriche? La risposta sta in un concetto: la delocalizzazione. In termini “aziendali” vuol dire spostare le fabbriche in paesi in cui la manodopera costa di meno. In termini pratici, vuol dire togliere il sostentamento a duecento e più persone ed alle loro famiglie e per riflesso ad un’intera comunità cittadina per andare a sfruttare le popolazioni più povere invece che pagare il giusto quelle italiane, abbattere i costi di produzione e pagare meno tasse, vendendo le calze però sempre allo stesso prezzo proprio in Italia. Come se fossero prodotte in Italia.

Sempre sul “Sole 24 Ore” si legge come la Omsa non sia l’unica azienda che ha deciso per la delocalizzazione: la Levante (gruppo da 90 milioni con 280 dipendenti) spedisce camion i Serbia, anche la Fulgar, leader europeo nei filati in nylon con 220 milioni di ricavi, si è trasferita in Serbia per una grossa fetta della produzione.

Michele Mura, direttore generale dell’omonimo gruppo da 18 milioni di ricavi (per il 75% realizzati oltreconfine) spiega: “Spedire un camion in Romania può costare due centesimi a capo, ma se ne risparmiano almeno il doppio sulla lavorazione. le lavorazioni automatiche riusciamo a farle qui, quelle manuali no, perchè per restare a galla dobbiamo essere sempre più efficienti”.

Oltre alla Serbia, uno dei paesi scelti per la delocalizzazione è lo Sri Lanka. Il motivo ci viene descritto in una intervista apparsa sul blog “netatwork.blogspot.com” in cui viene intervistato l’ingegnere Riccardo Romani, a capo dfella divisione logistica del Gruppo Calzedonia: “La localizzazione in Sri Lanka è stata frutto di una accurata indagine e sopralluoghi effettuati qualche anno fa in diverse regioni del Mondo in via di sviluppo, tra cui India, Pakistan, Bangladesh e Cina. Ne ricavammo molte informazioni ma, soprattutto, risaltava in modo particolare il caratteristico ed apprezzato equilibrio e la scarsa conflittualità sociale della popolazione dello Sri Lanka. Naturalmente ha molto influito anche una iniziale intuizione del dottor Sandro Veronesi [ patron di Calzedonia, n.d.r.], poi rivelatasi fondata, sull’elevata capacità di apprendimento delle maestranze indigene con riflessi evidenti sugli indici qualitativi e di produttività. L’assenza o quasi di vincoli sindacali garantiscono una flessibilità sulla numerosità degli organici assolutamente impensabile nel mondo industrializzato. Sotto questo punto di vista le localizzazioni dell’est Europa hanno già segnato il passo, determinando rapidi dietrofront sulle decisioni di nuovi insediamenti o ampliamenti dei siti produttivi”.

In fondo, viva la sincerità. L’unico problema quindi, l’unico ostacolo alla famosa Crescita è il costo della manodopera. Se si riesce a mantenere basso, a parità di prezzo da far pagare all’utente finale, il gioco è fatto. Che siano queste le famose riforme, ciò che brama di ottenere a suon di piedini pestati per terra la Senhora Marcegalha?