ROMA - Una società "sciapa e infelice" in cui "si vede circolare troppa furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso e disinteresse per le tematiche di governo".

Censis: “Italia infelice, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro”

9 Dicembre 2013 - di Claudia Montanari

ROMA – Una società “sciapa e infelice” in cui “si vede circolare troppa furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro, immoralismo diffuso e disinteresse per le tematiche di governo”.

È questa la realtà italiana secondo il Censis, che nel suo Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese, presentato nella sede del Cnel dal suo presidente, Giuseppe De Rita ha descritto l’Italia come un paese in sostanza fiaccato e smarrito, che vede le sue migliori energie fuggire all’estero.

“L’affanno degli ultimissimi anni ci ha tolto la tensione a vivere con vigore e fervore. E senza il fervore non si diventa solo sciapi, si diventa anche malcontenti, quasi infelici”, perché viviamo un grande, inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali.

Troppa gente non cresce, ma declina nella scala sociale. Da ciò nasce uno scontento rancoroso, sottolinea il Censis che avverte: c’è il rischio che in una società sciapa “l’unico fervore, ovvero l’unico ‘sale’, sia quello dell’antipolitica”.

Il Rapporto spiega che “la nostra società ha subito nel tempo continui intrecci di innovazione e di regressione”. E osserva criticamente che “nella dialettica sociale e politica degli ultimi mesi si sono imposte tre tematiche e tre convinzioni: la prima è che l’Italia è sull’orlo del baratro o dell’abisso; la seconda è che i pericoli maggiori derivano dal grave stato di instabilità, economia o politica che sia; la terza è che non abbiamo una classe dirigente adeguata a evitare il pericolo del baratro e a gestire l’instabilità“.

IL LAVORO – Gli italiani vedono nero il proprio futuro in particolare sul lavoro. 1 su 4 degli occupati è convinto che nei primi mesi del 2014 la propria condizione lavorativa andrà peggiorando; il 14,3% pensa che avrà a breve una riduzione del proprio reddito da lavoro e il 14% di poter perdere l’occupazione. La novità è che ora questa paura interessa trasversalmente la popolazione italiana “dalle fasce generazionali più giovani a quelle più adulte”. Se anche nel 2013 è proseguita l’emorragia di posti di lavoro tra i giovani – con una perdita netta nel primo semestre di 476.000 occupati (-8,1%), che si sommano al milione e mezzo circa bruciati dall’inizio della crisi- anche nella fascia d’età successiva, tra i 35 e i 44 anni, il numero degli occupati è diminuito di quasi 200.000 unità, registrando una contrazione del 2,7%. E sono quasi 6 milioni gli occupati che nell’ultimo anno si sono trovati a fare i conti con una o più situazioni di instabilità e precarietà lavorativa, ai quali si aggiungono 4,3 milioni che non trovano un’occupazione.

FUGA ALL’ESTERO – Il contesto ha determinato una vera e propria fuga all’estero. L’Italia oltre confine ammonta a oltre 4,3 milioni di connazionali. Nell’ultimo decennio il numero di cittadini che si sono trasferiti all’estero è più che raddoppiato, passando dai circa 50.000 del 2002 ai 106.000 del 2012 (+115%). Ma è stato soprattutto nell’ultimo anno che l’incremento si è accentuato (+28,8% tra il 2011 e il 2012)). Nel 54,1% dei casi si è trattato di giovani con meno di 35 anni. Chi se ne è andato lo ha fatto per cercare migliori opportunità di carriera e di crescita professionale (il 67,9%), per trovare lavoro (51,4%), per migliorare la propria qualità della vita (54,3%), per fare un’esperienza di tipo internazionale (43,2%), per lasciare un Paese in cui non si trovava più bene (26,5%), per vivere in piena libertà la propria vita sentimentale, senza essere vittima di pregiudizi o atteggiamenti discriminatori, come nel caso degli omosessuali (12%). Nel confronto con l’estero, per loro il difetto più intollerabile dell’Italia è l’assenza di meritocrazia, denunciata dal 54,9%, poi il clientelismo e la bassa qualità delle classi dirigenti (per il 44,1%), la scarsa qualità dei servizi (28,7%), la ridotta attenzione per i giovani (28,2%), lo sperpero di denaro pubblico (27,4%).

CONSUMI – Come si legge su “Il Secolo XIX”,

“la crisi ha portato una nuova sobrietà: gli italiani evitano sprechi ed eccessi. Si tira la cinghia per risparmiare anche perché i continui cambiamenti fiscali non consentono di effettuare previsioni di spesa. Se il 76% dà la caccia alle promozioni nei supermercati e aumenta il numero di persone che va al mercato, il 53% ha ridotto spostamenti con auto e scooter, il 68% ha tagliato cinema e altri svaghi, il 45% ha ridotto o rinunciato negli ultimi 12 mesi al ristorante”

“La crisi non ha risparmiato i distretti industriali: tra il 2009 e il 2012 in un campione di 56 distretti, il Censis ha stimato una flessione del numero di imprese pari al 3,8%. Si tratta di quasi 2.000 unità produttive uscite dal mercato. Tuttavia, a fronte di questo ridimensionamento strutturale, si registra una crescita sostenuta sui mercati esteri: nel 2013 le esportazioni di 150 distretti manifatturieri sono infatti cresciute del 3%”

Sud sempre più indietro:

“Il Pil pro-capite nel Mezzogiorno è di 17.957 euro, il 57% di quello del Centro-Nord, e inferiore ai livelli di Grecia e Spagna. Decresce il contributo del Sud alla ricchezza del Paese: l’incidenza del Pil del Mezzogiorno su quello nazionale è passata dal 24,3% al 23,4% nel periodo 2007-2012, frutto di una contrazione di 41 miliardi, il 36% dei 113 persi dall’Italia a causa della crisi”

Più donne e immigrati nelle imprese

“Emergono nel mondo dell’imprenditoria soggetti nuovi che si sono rimboccati le maniche mettendosi in proprio. È il caso delle donne e degli immigrati: le imprese `rosa´ nell’ultimo anno sono aumentate di 5.000 unità. E anche gli immigrati, di fronte alle difficoltà di trovare un lavoro dipendente, costretti a lavorare per rimanere in Italia, si assumono il rischio di aprire nuove imprese: nel 2012 sono 379.584 gli imprenditori nati all’estero che lavorano in Italia, con una crescita del 16,5% tra il 2009 e il 2012 e del 4,4% nel solo ultimo anno. Tutto questo mentre le imprese gestite dai nostri connazionali diminuiscono del 4,4% nei quattro anni considerati e dell’1,8% nel solo ultimo anno.”