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Donne e ricerca scientifica, in Italia progressi verso la parità di genere ma la strada è lunga

27 Luglio 2021 - di Claudia Montanari

In Italia quasi 5 ricercatori scientifici su 10 sono donne. Con una percentuale di presenza femminile del 44% il nostro Paese procede verso la parità di genere nel campo della ricerca. Certo, l’obiettivo è ancora lontano ma qualche passo avanti si sta facendo.

È una notizia incoraggiante quella che emerge dal report annuale “Gender in research” di Elsevier, uno dei più importanti editori scientifici del mondo con oltre 3000 pubblicazioni in ogni ambito scientifico. Lo studio, che prende in esame la partecipazione delle donne nel campo della ricerca in Europa e in altri 15 paesi del mondo, rivela per l’Italia una presenza femminile sopra la media Ue, con il 39%.

La ‘classifica’ vede l’Italia con performance da podio seconda solo al Portogallo (è il paese guida sul genere) e in linea con la Spagna. La Francia è al 39%, la Danimarca 35%, Olanda 33%, Germania 32%, fuori dall’Europa l’Australia è al 39,46%. Ottime performance in Argentina e Messico. Terribilmente ultima il Giappone con il 15.22%.

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Donne e ricerca scientifica, la strada è ancora lunga

Gli ultimi cinquant’anni hanno visto ottimi progressi per e dalle donne nella ricerca. Le donne ora rappresentano una quota maggiore di scienza, tecnologia, ingegneria, laureati in matematica (STEM) e medicina come mai prima d’ora. E c’è una maggiore concentrazione ed energia sulla partecipazione equilibrata, tenendo conto del genere.

Tuttavia, Kumsal Bayazit, Chief Executive Officer, Elsevier, spiega: “I nostri ultimi risultati indicano che le disparità continuano ad esistere, con una crescita più lenta degli articoli pubblicati dalle donne, numero maggiore di donne che lasciano la ricerca e aree di ricerca poco studiate. Questo rapporto evidenzia anche che le donne non partecipano a reti di collaborazione allo stesso livello maschile, con un potenziale impatto sulla loro carriera.

In media, gli uomini hanno più coautori delle donne, con una tendenza a collaborare con quelli dello stesso sesso, dimostrando che anche su questo ambito c’è lavoro da fare per affrontare i problemi che tagliano la parità tra diversità e inclusione”.

“Gli elementi da prendere in esame sono pubblicazioni e citazioni, oltre a borse di studio e domande di brevetto: questa è ‘l’impronta’ che lascia il ricercatore. E gli uomini hanno un’impronta di ricerca più ampia in generale, pubblicano più delle donne, hanno assegnate più sovvenzioni rispetto alle donne, e fanno domanda per più brevetti delle donne. Questa è una tendenza – aggiunge Bayazit – evidente in tutti i paesi esaminati. Inoltre, in media, l’impatto delle citazioni del primo autore maschile nelle pubblicazioni è superiore a quello delle donne, insinuando un pregiudizio di genere nella pratica della citazione”.

Verso l’uguaglianza retributiva

Non solo presenza però. L’Italia, infatti, nel settore della ricerca è avanti rispetto al resto d’Europa anche in termini di retribuzione. Il pay gender gap, seppure presente – siamo intorno a una differenza fra salario maschile e femminile del 7% circa, il settore della ricerca rispecchia comunque l’andamento dell’intera economia – è la metà rispetto alla media europea (oltre il 15%). E ancora una volta inferiore a quello della Danimarca (di poco sotto al 20%).

Ma come è messo il nostro Paese in termini di parità di genere quando si parla di discipline STEM (Scientifiche, Tecnologiche, Ingegneristiche, Matematiche)?

L’Italia procede verso l’uguaglianza nel campo della ricerca anche in questo segmento che vede aumentare con costanza le donne che firmano per la prima volta una pubblicazione. Un percorso che coinvolge, seppure con ritmi di crescita diversi, anche l’intera Europa. Infatti, se in media in Ue fino al 2003 la percentuale di ricercatrici su scienza, tecnologia, matematica e ingegneria che avviavano la propria carriera restava poco sopra il 20% (negli stessi anni l’Italia era già ben oltre il 30%), oggi anche a livello europeo questa percentuale è quasi raddoppiata, arrivando al 40%, mentre il nostro paese è di poco sotto al 50%.

Per quel che concerne invece esclusivamente la ricerca in ingegneria, poi, l’Italia è ben sopra la media europea. Tra il 2014 e il 2018 erano donne il 25,5% dei ricercatori in quel settore, a fronte di una media Ue negli stessi anni del 20,7.

Ancora poche donne con cariche apicali

Per quanto riguarda la distribuzione dei ruoli, sempre nel settore delle discipline STEM, in Italia la rappresentanza femminile supera addirittura quella degli uomini fra i candidati ai dottorati (52%). Mentre nel terziario avanzato, fra gli impiegati e i tecnici, le donne che svolgono queste professioni in Italia sono quasi il 60%, contro una media Ue di poco al di sopra del 50%. Siamo invece sotto la media quando ad essere censite sono le posizioni apicali degli istituti di ricerca. Dove le donne hanno poco più del 20% di rappresentanza (il resto d’Europa è comunque sopra di pochissimi punti), o i ruoli di scienziate e ingegnere dove la presenza femminile è di poco sopra al 30%, con una media Ue oltre il 40%.

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