Chiama "lesbica" la collega, per la Cassazione è da licenziare

Chiama “lesbica” la collega, per la Cassazione è da licenziare

10 Marzo 2023 - di Silvia_Di_Pasquale

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello che aveva giudicato un provvedimento di licenziamento eccessivo per un autista che aveva insultato una collega dandole della “lesbica”. E’ “innegabile il portato della evoluzione della società negli ultimi decenni la acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale”. Essa “attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona”. Pertanto “l’intrusione in tale sfera” con “modalità di scherno”, – dicendo a una collega “come sei incinta tu? non sei lesbica?” – in ambiente di lavoro e alla presenza di utenti, non può essere considerata solo “una condotta inurbana” ma è una vera “discriminazione” da sanzionare con il licenziamento in tronco. Lo sottolinea la Cassazione.

Così la Suprema Corte – verdetto 7029 della Sezione lavoro – ha accolto il ricorso della Tper spa, società emiliana di trasporto pubblico, che voleva licenziare in tronco, per “giusta causa” e senza alcun diritto ad indennità, uno degli autisti suoi dipendenti che alla fermata dei pullman aveva rivolto a una collega, che da poco aveva partorito due gemelli, la frase “ma perchè sei uscita incinta pure tu? ma perché non sei lesbica tu?”, e con fare “irrisorio” aveva aggiunto “e come sei uscita incinta?'”. La donna, autista anche lei, aveva subito presentato un esposto all’azienda datrice di lavoro che, a sua volta, aveva contestato all’autista, Michele M., di aver tenuto “un comportamento gravemente lesivo dei principi del Codice etico aziendale e delle regole di civile convivenza” e aveva licenziato in tronco il dipendente.

La Suprema corte ricorda che il Codice delle Pari opportunità tra uomo e donna considera come discriminazioni anche le molestie, cioè “quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Fonte Ansa.