Una donna vanitosa non è elegante: lezioni di stile di 2000 anni fa

Una donna vanitosa non è elegante: lezioni di stile di 2000 anni fa

21 Febbraio 2015 - di Daniela Lauria

ROMA – Una donna che si loda troppo, diceva Marziale, non è né ricca, né giovane, né bella. Vanità, lo dice la parola stessa, significa cosa vana, futile, inutile, di nessun valore; cosa che svanisce. La vanità è espressione volgare, vuota, che appartiene alle persone vane, vittime dell’errore e della menzogna.

Una lezione di stile, vecchia di 2000 anni, tramandataci dal più noto epigrammista dell’antica Roma. Marco Valerio Marziale (Augusta Bilbilis, 1º marzo 40 – Augusta Bilbilis, 104) è stato un poeta romano del I secolo dopo Cristo che raccontò, pane al pane e vino al vino, la società del suo tempo.

Coi suoi epigrammi lapidò la grandezza di Roma caput mundi e dominatrice del mondo. Una città in realtà rumorosa, tumultuosa e contraddittoria: non troppo diversa da come la conosciamo oggi. La Roma di Marziale era il centro pulsante di vizi e stranezze, luogo di speculazioni indescrivibili,  “cenciosa e grandiosa al tempo stesso”. Una città parecchio disordinata, cresciuta troppo in fretta e senza un piano urbanistico razionale: un incendio poteva distruggere in poco tempo interi quartieri, in certe zone ci si doveva inerpicare su e giù per strade strette e tortuose e si avvertiva una situazione di degrado dovuto ad una incuria perdurante da tempo. Vi ricorda qualcosa?

Nei suoi scritti Marziale ci tramanda una vasta galleria di personaggi e di maschere grottesche: gustosi quadretti di vita quotidiana, di scenette spassose, di fotografie colte dal vero e fissate per l’eternità. Marziale descrisse l’umanità così com’è veramente, con i suoi vizi, le sue vanità e le sue manie, le sue debolezze e i suoi istinti.

Ma è soprattutto la donna e la vanità femminile che è messa sotto accusa in una serie infinita di figure femminili dalle quali traspare anche una certa tendenza al misoginismo: c’è Paola che finalmente ha messo giudizio e vuole sposare Prisco ma anch’egli è saggio e non ne vuole sapere; e c’è Gellia che si vanta di avere antenati illustri e sostiene di non poter sposare che un senatore ma si è dovuta accontentare di un facchino. E Aelia, ormai senza denti, che finalmente può tossire tutto il giorno senza espellere più niente.

In questo epigramma Marziale si rivolge a Fabulla, donna bellissima, graziosa e ricca ma che a furia di vantarsi diventa antipatica e volgare agli occhi del poeta. La vanità, lo diceva anche Socrate, è il tiranno della gioventù. E Fabulla ne fu evidentemente succube.

Liber I, LXIV

Bella es, novimus, et puella, verum est,
et dives, quis enim potest negare?
Sed cum te nimium, Fabulla, laudas,
nec dives neque bella nec puella es.

A Fabulla che si loda troppo
Sei bella, lo sappiamo, e giovane, ed è vero,
e ricca: negarlo infatti chi potrebbe?
Ma quando troppo, o Fabulla, ti lodi,
né ricca, né giovane, né bella sei.