Speranza Scappucci e le altre (donne) sul podio: tra difficoltà e pregiudizi

Speranza Scappucci e le altre (donne) sul podio: tra difficoltà e pregiudizi

14 Ottobre 2013 - di Claudia Montanari

ROMA – “L’opera è donna“: sarà questo il nome della nuova edizione del Festival di Macerata. Una edizione tutta al femminile in cui l’ambito podio d’Orchestra sarà destinato a donne di tutto rispetto. E se è vero che fino ad ora il podio era “baluardo” del dominio maschile, è anche vero che adesso le cose stanno cambiando.

Scrive Valerio Cappelli sul Corriere della Sera:

Speranza Scappucci di mestiere faceva il maestro collaboratore, ovvero preparava al pianoforte (per Muti, Mehta, Domingo e Levine), i cantanti, ripassava con loro lo spartito, insegnava il ritmo, la pronuncia, lo stile, era il tramite tra i solisti e il podio. È il lavoro oscuro, dietro le quinte, che faceva Antonio Pappano prima di diventare direttore d’orchestra. Ora il passo lo fa questa romana dai capelli rossi: dopo l’esordio in Usa alla Yale Opera, martedì 15 apre col Don Giovanni la Royal Scottish Opera e nel prossimo luglio sarà una delle tre protagoniste al Festival di Macerata, in un’edizione intitolata «L’opera è donna», tutta al femminile: Scappucci per La Traviata , l’inglese Julia Jones per Aida , la coreana Eun Sun Kim per Tosca “. 

Il podio è da sempre un obiettivo complicato per le donne. Si legge sul Corriere della Sera:

“«L’opera — dice il direttore artistico della rassegna Francesco Micheli — ha raccontato e imposto all’attenzione degli spettatori figure di donne forti, indipendenti, rivoluzionarie, anche se immancabilmente sfortunate. Negli ultimi anni c’è stato l’ingresso nelle professioni, nelle arti, nella politica di molte donne qualificate e capaci che però sono rimaste escluse dai ruoli di comando. Il podio è uno dei simboli più forti del potere, e finora del potere maschile. La nostra è una scelta di campo a favore delle pari opportunità ma anche una scelta artistica che prende atto di una trasformazione sempre più evidente. Ci sono sempre più talenti femminili sul podio»”. 

Ma chi sono le donne che vedremo sul podio? Scrive Valerio Cappelli:

“Anzitutto, viaggiano quasi tutte sulla quarantina. Gianna Fratta sta studiando il tedesco per poter dirigere Wagner: «Quando ho detto ai miei genitori di voler intraprendere questo mestiere, mi hanno vista come un’astronauta. Ci sono ancora molti pregiudizi». Dicono che si è costrette a pagare un sovrapprezzo, dimostrandosi più capaci di un collega maschio; spiegano che è in altre professioni la gerarchia è più mediata, qui ogni volta è una prova di forza: non si dice forse «comandare a bacchetta»? Insomma il podio rimanda a un’idea di virilità. 
C’è chi, come la canadese Keri-Lynn Wilson, si trovò a lavorare con i Wiener in qualità di assistente di Abbado «quando non si accettavano donne in orchestra, e furono tutti estremamente gentili nei miei confronti», e chi, come Speranza Scappucci, al tempo in cui era maestro collaboratore con i Filarmonici di Vienna, ebbe un impatto terribile, «non mi guardavano nemmeno, né un saluto né un buongiorno, come se fossi trasparente. Alla fine delle prove per fortuna le cose cambiarono». 
Una Signora del podio che ebbe buona fama fu Nadia Boulanger, ma faceva tante altre cose, compositrice, organista, insegnante… Non c’è mai stata una donna alla guida di un grande teatro lirico, e nella griglia delle stelle la quota rosa è assente. Mancando l’abitudine non sanno bene nemmeno loro, le donne sul podio, come bisogna chiamarle: maestra, direttrice, o resta la declinazione al maschile? Alla Scala nel 2011 si è rotto un tabù, affidando «Quartett», novità di Luca Francesconi, alla finlandese Susanna Mälkki. Fu un successo. Ma siamo nel piccolo mondo della musica contemporanea. Il giorno in cui in un paese che vive di eventi il 7 dicembre scaligero, o un’altra «prima» prestigiosa, sarà in mani femminili, allora si potrà parlare di rivoluzione sul podio. 
La cinese Zhang Xian è molto quotata: dal 2009 è alla guida della Verdi di Milano, la prima donna direttore stabile di un’orchestra sinfonica italiana. Al Conservatorio di Pechino le dicevano di avere le mani troppo piccole per diventare pianista, rivendica con orgoglio la sua statura minuta («poco più di un metro e mezzo, ma quando salgo sul podio non se ne accorge nessuno»), e il fatto di aver diretto «Shéhérazade» di Rimsky-Korsakov incinta di sette mesi, ricevendo dal ventre dei calcetti. Altrettanto apprezzate, l’americana Marin Alsop (prima a debuttare alla Filarmonica della Scala, reduce dal successo ai Proms di Londra), l’italiana Nicoletta Conti, la barocchista Emmanuelle Haïm, Alondra de la Parra, messicana cresciuta in Usa molto presente sul web anche per la sua avvenenza. 
In passato Silvia Casarin Rizzolo (cresciuta sotto le ali di Abbado e Mehta) proclamò una sorta di filosofia da maestro sui tacchi a spillo: «Non ho intenzione di scimmiottare figure maschili, preferisco far leva sui punti di forza di una donna, la plasticità e la grazia rendono più morbido il movimento». Il maschilismo poggia su barriere storiche, nel ‘600 le donne potevano suonare solo in contesti privati e amatoriali, per rompere questa barriera due secoli dopo furono create orchestre al femminile, dalla Vienna Ladies Orchestra alla Fadette Women’s Orchestra, fino alla Clara Schumann Orchester. Nel 1940 il direttore inglese Thomas Beecham disse di non volere donne in orchestra, «perché se sono belle mi distraggono, ma se sono brutte non posso guardarle». 
Per far affiorare il talento, devono cessare i pregiudizi. «Una compositrice vera nascerà il giorno in cui anche l’uomo potrà avere un bambino». Sapete chi pronunciò questa frase, sotto il suo aspetto mite, la sua barba paterna? Johannes Brahms. Oggi le compositrici trovano posto nella società musicale: nel 2000 Salisburgo ospitò con L’amour de loin di Kaija Saariaho la prima opera di una donna al festival. Ma le donne, sul podio, sono ancora viste come una nota eccentrica. P.S. Susanna Mälkki, alla Scala, indossò i pantaloni”. 

 

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