ROMA – “Gli chef sono i nuovi intellettuali? Beh, io no. Io parlo solo di cucina, di rugby e di turismo, che è poi un’estensione della cucina. E soprattutto faccio da mangiare”. Intervistato da La Stampa, lo chef francese Guy Savoy, tre stelle della Michelin e un celebre ristorante che porta il suo nome a Parigi, Las Vegas e Singapore, racconta com’è la vita dietro i fornelli.
Si comincia dal boom dei programmi culinari in televisione tra reality e chef nervosi alla Gordon Ramsay: “Quella che ci presenta la tivù, ma anche Internet, è una realtà virtuale. C’è, ma non si tocca. La mia impressione è che la gente se ne stia stufando. Da qui la popolarità del cibo, che invece è qualcosa di molto concreto, qualcosa che si annusa, si tocca e si mangia. Che è poi la ragione per cui ho fatto il cuoco”.
Ma chef si nasce o si diventa? “Nel mio caso, si nasce. A scuola non andavo male, ma mi annoiavo. E ho capito che saper leggere, scrivere e contare era quello che mi bastava. Volevo la concretezza dei sensi. L’olfatto. Per me la cucina sono soprattutto gli odori. Per questo dico: per prima cosa, eliminate la cappa aspirante”.
E i fast food? “Bisogna interrogarsi, prima di criticarli. Quand’ero ancora un ragazzino, non si mangiava fuori. Al massimo, si andava a casa dell’uno o dell’altro. Adesso un adolescente va al McDo’s. Poi, quando crescerà, inizierà ad andare in brasserie, qualche volta al ristorante e per chiedere alla sua ragazza di sposarlo da Guy Savoy. Perché no?”.
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