Nymphomaniac maschilista? "No, esalta indipendenza della donna"

Nymphomaniac maschilista? “No, esalta indipendenza della donna”

26 Marzo 2014 - di Claudia Montanari

ROMA – Dopo mesi e mesi di pubblicità, polemiche e discussioni, il 3 aprile 2014 farà il debutto in tutte le sale cinematografiche il primo volume del film “Nymphomaniac”.

Gemma Gaetani su Libero Quotidiano dipinge un ritratto ben fatto del percorso di questo film-fenomeno del discutissimo regista danese Lars Von Trier, accompagnato spesso da polemiche e polveroni mediatici. Un film definito spesso sessista e femminista ma che, secondo la giornalista, incarna il perfetto femminismo in cui la sessualità della donna viene considerata libera e indipendente:

“Dopo la presentazione al Festival di Berlino, le definizioni ideologizzate e inappropriate si sono sprecate: pornografico, sessista, maschilista. Ognuna, occhi sullo schermo, s’incenerisce miseramente. A Lars Von Trier si deve addossare solo un’ideologia: la sua. Se di pornografia si vuole parlare, considerato che le scene di sesso sono mostrate così come ogni mamma le ha fatte (per diventare mamma), si deve parlare di pornografia secondo Von Trier. Cioè secondo un artista che se non fosse un perfetto paziente psichiatrico sarebbe un perfetto psichiatra. Non è un caso che la protagonista Joe, interpretata da un’androgina Charlotte Gainsbourg in stato di grazia, a un certo punto dica che bisogna credere ad una storia, per capirla. Battuta che è l’equivalente del «Madame Bovary c’est moi» di Gustave Flaubert”

Lars Von Trier creatore di personaggi:

“Definito sadico da coloro che non capiscono gli estremi cognitivi che si prefigge di raggiungere, Lars Von Trier è, in verità, un compassionevole creatore di personaggi, ossessionato dai rovi di spine dei temi intoccabili della morale nei quali li infila. Sua ossessione non è stupire, ma sviscerare e confrontare il bene e il male. In questo caso, del libertinaggio femminile (se di ideologizzazione sessista si deve peccare, si dica, allora, film femminista, perché mai le ragioni della libertà erotica della donna erano state spiegate, ultimamente, in maniera tanto efficace, facendo eccezione solo per il Kim Ki-Duk de La samaritana e il Bernardo Bertolucci di The dreamers). Nymphomaniac si posiziona su questa poetica tutta vontrieriana come la sua opera più pacificata. Tenera. Lieve. E, anche, comica.

La vicenda:

“Joe emerge sulla scena dopo lunghi secondi di schermo scuro come una tela nera di Rothko, in un’atmosfera tetra già onorata in Epidemic, Europa, Antichrist. Accasciata a terra, col volto pestato, come un Cristo femmina e senza Madonna a tenerlo in braccio. Soccorsa da Seligman, come la Rose De Witt di Titanic Joe gli narra la sua intera vita sessuale passata tramite lunghi flashback che sono il film. Si dichiara ninfomane, «pessima persona», ma, man mano che racconta, si rivela un semplice essere umano che ha cercato di vivere ribellandosi programmaticamente alla «società istituita sull’amore». Le sue vicende, infatti, che poi sono i pensieri di un Lars in ottima forma sulle questioni «sesso libero», «amore», «regole dell’amore istituzionalmente o religiosamente inteso » e «regole del sesso libero», sono messe in conflitto della caotica energia del libertinaggio sessuale con le oasi di strenua difesa del sesso concepito come conseguenza dell’amore e basta. Con effetti esilaranti, oltre che illuminanti. Joe che, in treno, sottopone un marito che sta correndo a casa per tentare di ingravidare la moglie in fase ovulatoria ad una fellatio. Joe e «la congrega » che invece di «Mea culpa» recitano «Mea vulva». Joe, adulta, che mette alla porta uno dei suoi amanti dicendogli la balla che è sposato, e lei l’ama troppo, non può più condividerlo con la sua famiglia. Come un playboy. Ma poco dopo l’uomo torna, ha lasciato la famiglia per lei, che invece sta aspettando l’appuntamento ninfomaniaco delle 21. Si ritroveranno tutti insieme, Joe, il suo amante sposato, la famiglia che è corsa a cercarlo (il figliolo col cuscinetto in mano è da Oscar della messa in ridicolo dei traumi infantili che fanno ricchi gli psicanalisti), l’appuntamento delle 21, in una lunga, surreale, fantastica scena che farebbe provare invidia a Woody Allen. Joe, più che una ninfomane, è un kamikaze della libertà, dell’individualismo. Toccanti i passaggi, unici in bianco e nero, sulla morte del padre, solo uomo al quale Joe abbia sia davvero appartenuta. Il più affettivo Lars mai visto nei confronti della donna, seppure outsider, qui compresa e fatta parlare come mai prima. Da effettivo ultimo genio quale è, manipola così tanto il mezzo cinematografico che si permette anche un seguito già girato di questa prima «puntata filmica» di un’Emma Bovary dei nostri tempi che riporta qualche livido, certo, ma non più di questo”