Michelle Obama da bambina diceva troppe parolacce. Biografia di Peter Slevin

Michelle Obama da bambina diceva troppe parolacce. Biografia di Peter Slevin

9 Aprile 2015 - di Daniela Lauria

WASHINGTON – All’età di 10 anni la piccola Michelle LaVaughn Robinson diceva troppe parolacce, al punto che le negarono il titolo di miglior campeggiatrice al campo estivo proprio per via della sua irrefrenabile propensione ad imprecare. Era l’estate del ’74 e nessuno poteva mai immaginare che da grande quella ragazzina sboccata sarebbe diventata la prima First Lady afro-americana della storia. Anzi, quell’episodio le servì da lezione, tant’è che oggi Michelle Obama è universalmente riconosciuta come icona di eleganza e stile in tutto il mondo.

A raccontare questo e altri aneddoti sull’attuale inquilina della Casa Bianca è l’ex giornalista del Washington Post, Peter Slevin, nel suo libro Michelle Obama: A Life (Una vita) che non è una biografia ufficiale o autorizzata ma un ritratto genuino e ammirato di quella che lo stesso Slevin definisce come “una donna ambiziosa e di successo” e al contempo madre attenta di due stupende bambine, “il suo primo lavoro”. Si dà il caso che né Michelle né Barack Obama gli abbiano mai rilasciato un’intervista ufficiale. Il libro è infatti una sapiente tessitura delle testimonianze carpite ai diversi membri della famiglia Robinson, così come da ex compagni di scuola ed ex colleghi di lavoro di Michelle. “Una vita”, quella della consorte del presidente degli Stati Uniti, raccontata attraverso gli occhi degli altri, di quelli che l’hanno vista crescere e che dunque è più abbondante e colorita negli anni pre-Obama.

In oltre 400 pagine Slevin racconta il percorso straordinario e introspettivo della “working class girl” che dalla periferia sud di Chicago è arrivata fino al civico 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington (l’indirizzo della Casa Bianca). Sarebbe stata la stessa First Lady a raccontare della sua “fase del turpiloquio”.

“Non me ne resi conto finché il mio educatore al campo non venne da me spiegandomi che avrei vinto il premio di miglior partecipante al campeggio se solo non avessi imprecato così tanto. Io pensavo invece che fosse cool (fico)”.

Molto prima di diventare la Signora Obama, Michelle Robinson trascorse i suoi anni formativi in un bilocale, al secondo piano di una palazzina su South Euclid Avenue a Chicago. Papà Fraser era un impiegato comunale, addetto all’impianto idrico cittadino e mamma Marian Shields faceva la segretaria presso lo Spiegel Catalog Store. L’unica camera da letto dell’appartamento era occupata dai genitori, un paio di pannelli separavano la zona giorno dalla cameretta di fortuna che Michelle condivideva con suo fratello Craig, di due anni più grande.

“Tutto ciò che penso e faccio – ha rivelato la First Lady durante la campagna presidenziale del 2008 – è modellato attorno alla vita che ho vissuto in quel piccolo appartamento”.

E’ grazie a loro se al primo posto nella sua scala dei valori c’è la famiglia. Tant’è che durante la campagna per le presidenziali del 2008 Michelle si impegnò a partecipare agli eventi elettorali solo due giorni alla settimana dormendo fuori casa per non più di una notte per volta, assicurandosi così di poter tornare dalle sue due figlie entro la fine del secondo giorno. I Robinson non avevano granché in termini di cose materiali ma erano ricchi di un legame solido, raramente cenavano separati o saltavano il sabato sera dedicato ai giochi da tavolo. E questo Michelle lo ha tenuto bene a mente. In casa Robinson, racconta Slevin nel suo libro, era imperativo che

“qualunque ostacolo Michelle o Craig avessero incontrato, a causa della loro razza o della loro estrazione sociale, le loro possibilità di vita erano comunque illimitate. E l’adempimento di tali possibilità era in capo a loro. Niente scuse”.

E’ con questo spirito che Michelle supera le ristrettezze economiche e incarna il sogno americano: intelligente, determinata, dinamica, studia nelle migliori scuole del Paese, prima a Princeton e poi alla Harvard School of Law, grazie a una borsa di studio. Rientrata a Chicago fa esperienza come assistente del sindaco Richard M. Daley e viene assunta come avvocato stagionale presso il prestigioso studio Sidley Austin. Qui incontrerà l’uomo della sua vita.  

Michelle e Barack si conobbero nell’estate del 1989, quando lui fu assunto come associato presso il suo stesso studio legale. Al primo appuntamento lui la portò al cinema a vedere il film di Spike Lee Do the Right Thing. Tre anni più tardi la portò all’altare.

La biografia di Slevin non tralascia di menzionare dettagli della loro vita di coppia: in particolare pare che Michelle avesse una certa ansia da matrimonio.

“Una sera – narra l’autore – ad una cena in cui Barack voleva festeggiare il suo esame di iscrizione all’albo degli avvocati, Michelle iniziò a fargli la ramanzina sulla sua incapacità di assumersi l’impegno. Al momento del dessert, sul piatto di Michelle c’era una scatolina con un anello di fidanzamento. Lei restò attonita ed emozionata. Barack ridendo disse: Questo ti farà stare zitta“.

Sembra inoltre che l’attuale First Lady abbia affrontato la campagna elettorale tormentata da una penosa apprensione: che il marito venisse assassinato. La sua più grande paura è che le figlie possano perdere entrambi i genitori.