A proposito di anni ’90, quando amavamo le Baracconate di lusso

4 Dicembre 2018 - di Claudia Montanari

Negli ultimi anni è tornata prepotente la moda anni Novanta. Colori stravaganti, forme voluminose ed eccentriche, fasto e opulenza. E’ giunta dunque l’ora di fare un po’ di Storia. 

Correvano i primi gloriosi anni ’90, ancora lussuriosi, forti e ricchi. L’italia non aveva ancora vissuto la crisi di mani pulite, che al contrario erano felicemente sporche e vive e nel sedicente benessere generale ci si vestiva sgargianti e volumetrici, ancora ignari di ciò che Di Pietro avrebbe di lì a poco scatenato con le sue indagini, ignari dei conti, ignari della crisi economica che ci sarebbe stata negli anni a venire.

In quella ingenua ignavia si viveva felici la moda tra la Roma Bene e la Milano da Bere, tra l’eleganza di Firenze e la razionale Torino. Il resto d’Italia, mi spiace, non era moda e la moda non era compresa. 

Usciti dall’epoca del perbenismo, impazzavano tra le città della moda gli stilisti dell’opulenza: Versace, Rocco Barocco, Franco Moschino, Krizia, GianMarco Venturi e ancora Ferré l’Iconico, Enrico Coveri, Regina Schrecker. Fuori giro firme immense come Valentino e Capucci, già considerati “classici del tempo”. Poi, ovviamente, c’era Armani l’Immenso, l’unico che nella folla dell’opulenza andava nell’opposta direzione del minimalismo, di cui creò il gender free tanto amato e copiato ora da direttori creativi come Alessandro Michele di Gucci.

In quella confusione generale la moda era diventata tutta un neo. Neo-classico, neo-barocco, neo-rinascimento, l’importante è che si celebrasse la grandezza e la lussuria e che la moda facesse clamore anche tra i morti di vita (perché di fame, al tempo, si diceva che non morisse nessuno). Era l’apoteosi dell’oro, dei colori sgargianti, delle fantasie pazze. Primo fra tutti a celebrare la moda di quegli anni il grande Gianni Versace, che all’epoca tirò fuori dalla penna alcuni modelli che sarebbero poi rimasti nella storia della moda.

L’importante, all’epoca, è che tutto fosse immenso, appariscente e sgargiante. Tra gli amanti di moda non si parlava più di chic (a parte Armani) ma di glamour e di baracconata. Baracconata, però, in senso buono del termine. Baracconi erano i primi Rocco Barocco ma anche Dolce & Gabbana. E Krizia, ne fece e come di belle Baracconate copiate in tutto il mondo. Moschino vestiva le donne con ironia dissacrando la moda e si divertiva come un matto, Ferrè inaugurava la stagione delle camicie bianche sparate ovunque come una tempesta di fulmini. La moda era tutta un Baraccone, perché era veramente paragonata a un circo, le capigliature erano voluminose e crespe, i numeri di Vogue erano alti come enciclopedie e le edicole esibivano in prima fila decine di colorate riviste di moda che celebravano strass, paillettes, spalline, borse enormi e di lusso. E la gente si vestiva così, da Baraccone di lusso e se qualcuno osava dire qualcosa gli si diceva “ma si aggiorni, questa è la moda”. 

Nel 1996 tutti gli stilisti più in voga del momento sfilarono nel piazzale degli Uffizi a Firenze dando vita ad uno spettacolo epico, con l’irriverente Benigni in diretta nazionale Rai che disse “perché a questi stilisti gli garba l’omo!”. Risate generali e applausi, seguiti da un temporaneo esilio dalla televisione pubblica (true story). 

Il fasto stava procedendo verso il tramonto. Quello stile opulento “prima di mani pulite” (che ormai era già scoppiata da tempo) stava giungendo alla fine.

di Claudia Emme