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Perché viaggiare ci rende felici? Ecco cosa succede al nostro cervello

Viaggiare ci rende felici, lo sappiamo. Non abbiamo certo scoperto l’acqua calda. A quanto pare però questa felicità è supportata da motivi scientifici. Secondo un’indagine condotta alla Washington State University, infatti, si è meno tristi viaggiando. Perché? Perché si lascia anche se se solo momentaneamente la propria zona di comfort e la routine che sono spesso fonti in cui la nostra tristezza può diventare un mood costante.

Le persone che viaggiano più frequentemente invece sperimentano livelli più elevati di felicità grazie alle sostanze rilasciate dal cervello. I responsabili sono la dopamina, l’ossitocina e la serotonina, che si attivano durante questi viaggi in cui l’individuo supera i limiti del territorio conosciuto per entrare in un mondo a lui estraneo, e che gli fa illuminare il cervello.

Viaggiare ci rende felici, il motivo risiede nel cervello

Marta Jiménez Castro, neuropsicologa specializzata in disturbi d’ansia e dell’umore, lo spiega così: “viaggiare è come innamorarsi. E intendo letteralmente, perché il cervello reagisce allo stesso modo quando viaggiamo e quando ci innamoriamo. La mente non distingue tra uno stimolo nuovo e un altro. Non importa se si tratta di un nuovo partner o di un luogo sconosciuto. Concentra l’attenzione su nuovi stimoli e li rileva attraverso la dopamina. Ecco perché viaggiare ha un effetto psicologico ed emotivo positivo su di noi. Anche con un weekend di vacanza”. Si può quindi dire che viaggiare fa innamorare di nuovi luoghi, di quelli che si visitano per la prima volta e delle emozioni che questi territori provocano.

Alcuni anni fa, un gruppo di ricercatori della Cornell University ha stabilito che la felicità è racchiusa nel registro dei ricordi e delle esperienze rilevanti, la cui massima espressione è il viaggio. Lo studio ha trovato altri indizi, una connessione tra longevità e viaggi. a quanto pare esiste una sorta di gene del viaggio, il DRD4 7r, un recettore della dopamina che determina il desiderio di esplorare.

Quindi, è possibile educare il cervello a voler viaggiare e quindi a prolungare gli anni in questo mondo? Lo psicologo Alberto Noguera dice: “il nostro cervello può essere educato in una misura che non possiamo immaginare. Alcune cose sono difficili, soprattutto quelle che fanno urlare la nostra voce interiore per spaventarci. Ma possiamo educarlo, dirgli che accettiamo la sua paura o i suoi avvertimenti e continuare a parlargli finché non perde forza. È come andare in palestra: all’inizio è difficile, ma poi viene naturale e la vostra salute ve ne sarà grata. Lo stesso vale per uscire dalla propria zona di comfort”.

Non tutti hanno voglia di viaggiare, fare le valigie non è un impulso naturale, ma gli scienziati sembrano concordare sul fatto che dovrebbero farlo. Non è solo una questione di felicità momentanea: è un puro investimento in salute. Lo stress non entra in valigia. Sembra che alcuni problemi non abbiano spazio nel bagaglio. Almeno per il cervello.

Viaggiare ci tiene lontani da stress e ansia

Un altro esempio, suggerito da un report di Civitatis, è lo studio condotto da un gruppo di ricercatori in Arizona, che ha concluso che le donne che fanno più vacanze tendono a essere meno soggette a depressione, stanchezza e stress. Hanno anche dato una valutazione migliore ai loro matrimoni e alle loro relazioni personali.

Andrés Muatruga, sociologo e autore di diversi libri sull’impatto dello sviluppo tecnologico, afferma che “lo stress, data la situazione attuale, è un’epidemia che ci segue, ci insegue, attraverso dispositivi come il telefono, il tablet o il computer”, e assicura che “questa situazione ha un impatto sul nostro cervello di cui non siamo ancora riusciti a verificare tutte le conseguenze”. l’aumento dei disturbi ansiosi e depressivi negli ultimi anni è innegabile e, in molti casi, sembra essere legato allo sviluppo tecnologico (soprattutto a causa dell’iperconnettività e del costante confronto sugli rrss).

Se uniamo questi problemi alle difficoltà economiche, alle eco ansie, alle preoccupazioni sociali, alle guerre intorno a noi, il risultato può essere una catastrofe emotiva ben di più di una sola giornata più triste dell’anno “. Pressioni, richieste e confronti costanti a cui sembra impossibile sottrarsi in un mondo che è iperconnesso.

3 antidoti anti tristezza

Per contrastare gli effetti di questo ci sono tre cose individuate anti tristezza: motivazione, entusiasmo e disconnessione. Il neuropsicologo afferma che “tutti abbiamo provato quella sensazione al lavoro, quando si anticipa una vacanza o un weekend: le prestazioni cambiano e ci si concentra in modo diverso perché la famosa dopamina anticipa gli scenari che si vivranno in futuro.

Al contrario, quando non si viaggia e la vita diventa monotona, ciò che accade nel cervello è che la dopamina, che ci rende eccitati e motivati, diminuisce contemporaneamente ad altre sostanze come l’ossitocina o la serotonina. E perché ci succede? A quanto pare, la spiegazione risiede in un concetto psicologico molto specifico: l’adattamento edonico. Questo meccanismo fa sì che il cervello si abitui agli stessi stimoli (il tragitto per andare al lavoro, la visita agli stessi luoghi, ecc.) e che la mente non generi più queste sostanze, aumentando la probabilità di stress o ansia. L’effetto si può produrre non solo arrivando a mete esotiche, irraggiungibili ma anche per quelle di prossimità, è lo scenario davanti ai nostri occhi che cambia e ci dà la possibilità di contrastare il blues

Claudia Montanari

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