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Villa Adriana: rivolta contro la discarica. Ma basta bloccarla?

25 Maggio 2012 - di marina_cavallo

ROMA – Avevamo già scritto  del rischio che i siti di Corcolle e Quadro Alto potessero essere destinati alla discarica di Roma e anche dell’appello di Philippe Daverio nell’ambito del  progetto SAVE ITALY

Nel marzo del 2012, il Ministro Corrado Clini aveva dichiarato i siti non adatti perché non avrebbero le caratteristiche idonee previste dalle direttive europee. Il Ministro, inoltre, proponeva un “piano speciale per Roma” basato su una prospettiva organica che dovrebbe puntare alla piena efficienza del ciclo integrato dei rifiuti. Nonostante la proposta del Ministro Clini, la scelta definitiva, comunque, spettava al prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, commissario delegato all’emergenza rifiuti, il quale dopo aver affidato all’Università Tor Vergata una valutazione ambientale, ha dichiarato: “Si può andare avanti”.

Cittadini e associazioni si sono ritrovati in piazza per affermare il proprio disappunto e invitare il governo a “opporre un chiaro e netto no” all’ipotesi di realizzare la discarica in un luogo con tali caratteristiche archeologiche, idrogeologiche e territoriali. Sabato inoltre si è tenuta a Tivoli la manifestazione Villa Adriana nel Cuore, attraverso la quale intellettuali, associazioni e cittadini hanno espresso il loro dissenso nei confronti della decisione di Pecoraro. Così il presidente di Legambiente Lazio, Lorenzo Parlati: “Non permetteremo che si calpestino le leggi del nostro Paese. Corcolle ha caratteristiche archeologiche, idrogeologiche e territoriali che escludono la possibilità di realizzarvi una discarica.”

Parole che sembrano preannunciare l’inizio di una battaglia. Difficile dargli torto. Si fa infatti fatica a comprendere come si possa anche solo pensare di costruire una discarica, con tutto quel che essa comporta, di fianco ad uno dei patrimoni dell’umanità. Calpestare in questo modo un edificio dal valore inestimabile e tramutare uno dei posti più incantevoli della penisola in un abominevole mostro che rischia di perdere anche il riconoscimento dell’Unesco. La speranza è che, grazie alle azioni dei cittadini e delle istituzioni, Pecoraro di ripensi. Per evitare che un sito protetto dall’Unesco venga affiancato dall’immondizia.

Purtropo però non basta riuscire a bloccare la discarica se la situazione di Villa Adriana è quella descritta nell’articolo di Francesco Merlo su Repubblica di oggi: bisognerebbe intervenire per cercare di salvarla dal degrado come bisognerebbe farlo a Pompei e in altri infiniti posti che dovrebbero testimoniare la “grandezza” culturale dell’Italia e ne simboleggiano ormai e sempre di più la “rovina”!

 TROVO più facilmente la discarica di Corcolle che Villa Adriana. I pochi segnali stradali mi mandano sia a destra sia a sinistra ma finisco davanti a un muro cieco, dietro il quale non c’è ovviamente Villa Adriana ma ancora e sempre spazzatura. “Non vogliamo i rifiuti di Roma” annunzia il primo cartello veramente chiaro in questa giungla stradale che è fatta per perdersi, per non arrivare mai.

Anche i presìdi di rivolta dei tivolesi non sembrano accampamenti ordinati a difesa delle vestigia dell’imperatore, ma una rimessa di rancori contro la metropoli che prima li ha espulsi e poi li ha chiamati burini: “Roma Zozzona, Tivoli non perdona”.

Di sicuro, adesso che è stata decisa, quasi tutti scaricano la discarica: il sindaco, la Regione… e anche il ministro Ornaghi che non si riconosce nella figura di Ponzio Pilato ma, proprio come il procuratore della Giudea, minaccia le dimissioni invece di darle. L’Italia, come si sa, è una discarica di dimissioni minacciate e mercoledì scorso Ornaghi, invece di visitare con Monti e con la Cancellieri le macerie della Torre dei Modenesi e quel che resta del Castello di San Felice sul Panaro e di decine di chiese, chiostri e conventi dell’Emilia Orientale terremotata, è andato a minacciare le dimissioni nel posto più spettacolare d’Europa: la Croisette di Cannes.

Per la verità già lungo la Tiburtina capisco che prima di difendere Villa Adriana dalla futura discarica che la minaccia, bisognerebbe, come in un sogno, sottrarre l’Animula vagula blandula dalla presente discarica che la soffoca e la nasconde, che l’ammorba.

La Tiburtina è un serpente di spazio-spazzatura (junkspace) a una sola corsia, una zona suburbana di umanità confinata. Come unghiate sulla terra mi passano davanti le cave di quel travertino che abbellisce il “Getty Center” di Santa Monica ma qui abbrutisce il paesaggio già mangiato da case senza disegno, recinti di venditori/compratori di rottami di ferro, casermoni informi che sporcano anche la dolce linea dei colli.

Qui c’è anche la discarica del sogno di sviluppo dell’informatica all’amatriciana che i romani chiamarono “Tiburtina Valley” e adesso è solo un altro fallimento industriale, un mondo dismesso ma attraversato da quell’Aniene che verso Roma diventa il feudo abusivo di Anemone e della cricca, le piscine-fantasma dei mondiali di nuoto del 2009.

 Sono luoghi pasoliniani ma senza la poesia di Ostia o di Mamma Roma. E va bene che siamo abituati a vedere le vestigia in mezzo al degrado, rovina delle rovine, ma almeno a Pompei ci sono i turisti mentre qui i pochissimi visitatori, se non si perdono per strada, sono come i pellegrini provati dagli enigmi, fermati dalle sfingi, deviati da una toponomastica arrangiata e bizzarra. Sembrano i giocatori di una caccia al tesoro.

Poi, quando finalmente arrivo su “Piazzale Yourcenar” e trovo l’ingresso, quasi mi dispiace di non essere accolto dalla solita folla di questuanti, guide autorizzate e guide improvvisate, truffatori, scippatori, carrettini di panini immangiabili, venditori di souvenir e di paccottiglia d’ogni genere che in fondo rimandano all’archeologia del vivere. Quegli orribili mostriciattoli parassiti del sottosviluppo crescono insieme alla ricchezza, sono microrganismi e fermenti di una decomposizione sociale che è pur sempre vita, anche se andata male.

 Invece oggi giovedì, ore 13, su questo piazzale non c’è nessuno. Solo una signora inglese, eroina dall’archeologia, che inutilmente boccheggia in cerca di un bar. Fa molto caldo ma non ci sono luoghi di ristoro, solo una fontanella. Mi sembra di essere a Morgantina dove la povera Venere patisce la solitudine della periferia dopo la folla eccessiva di Los Angeles. E con dolore rimpiango i centurioni con la scopa in testa: qui non vengono perché non c’è danaro da lucrare, non ci sono i turisti da spennare. Persino la grande promozione “Villa Adriana ad un euro” nel ponte del primo maggio è stata un triste fallimento.

 Pago il biglietto anche se i tornelli d’ingresso non funzionano e dunque si può entrare gratis perché non c’è controllo. L’erba comincia a seccare e a diventare gialla. Gli ulivi sono bellissimi. Per terra ci sono, altro prologo di discarica o forse epilogo, sacchetti vuoti, bottiglie di plastica, cartacce. Sono rarissimi i cestini dei rifiuti. Sotto una quercia c’è posteggiata una Opel Astra, ma non è un’opera d’arte, non sono i baffi alla Gioconda, è proprio sciatteria ma, tanto, non la vede nessuno.

 A Villa Adriana si sparpagliano solo le scolaresche “deportate” che sono quanto di più ostile all’idea del bello da godere: Villa Adriana per loro è come il Manzoni per i ginnasiali, un dovere persino noioso. Alle 14,30 i bambini di una scuola elementare fanno picnic sotto gli ulivi. “Vuole favorire?” mi chiede la maestra. Sono allievi della Granturco di Roma, via della Palombella, a due passi da quel Pantheon che fu costruito proprio da Adriano ed è l’unico edificio della Roma antica ancora in piedi dalle fondamenta al tetto.

 E a proposito di vanità sulla Croisette non fa male ricordare al ministro che Adriano non firmò il suo capolavoro ma vi lasciò per sempre il nome di chi lo aveva iniziato: “Agrippa fecit”. La Yourcenar gli fa dire: “Ben pochi realizzano se stessi prima di morire: e ho giudicato con maggior pietà le loro opere interrotte”. All’ombra della quercia c’è sempre l’Astra. È abbandonata? È targata CL558…

 Avanza una signora con un cane. E vengo a sapere che gli animali sono ammessi anche se disturbano ed eccitano i randagi che qui vengono allevati e nutriti dai custodi. Al più grosso dei randagi hanno dato il nome Jack e la custode della mostra sull’amore di Adriano per Antinoo mi rassicura: “Er segreto è picchialli colle mani, mai col bastone”.

 Villa Adriana, si sa, è un posto dell’anima, il trionfo della voluttà architettonica, un florilegio dei capricci edilizi di un grande imperatore: la sala del banchetto, la piscina, il teatro marittimo, la piazza d’oro, il pecile, il canopo, le terme, la biblioteca…. E mi viene il pensiero semiserio che tra altri duemila anni anche la villa di Berlusconi in Sardegna sarà visitata da una signora dell’Oregon con la tuta a fiori alla ricerca della sala del bunga bunga o delle cucine ipogee del cuoco Michele, o ancora dell’approdo sotterraneo, un mondo di voluttà più per Trimalcione che per Adriano, più il Satyricon di Petronio che il romanzo della Yourcenar.

 Villa Adriana non è una città in forma di palazzo e non è nemmeno un palazzo, forse è un edificio destrutturato, tante stanze slegate tra di loro che Adriano teneva in piedi per la memoria: appunto le stanze delle memorie di Adriano. Da solo il muro, con i suoi mattoni a rombi, varrebbe la visita purché qualcun spiegasse che era la misura della passeggiata. Per Adriano quei duecento metri erano lo spazio e il tempo giusti della filosofia peripatetica, dialoghi in cammino, il pensiero occidentale in cinque minuti. Le Corbusier ne fece uno schizzo magnifico: lo considerava il prototipo di tutti i muri.

 Ebbene, il visitatore non capisce nulla di tutto questo. Le acque della piscina sono sporche e limacciose e non fanno certo pensare al rifornimento di pesce durante i banchetti. Brutte grate d’alluminio circondano il lago dove si organizzavano giochi di guerra navali. I pochi cartelli parlano di geometrie e non accendono mai la fantasia. Non c’è niente che indichi che da lì passavano le carrozze e si fermavano ai piedi di quelle scale. Nessuno può accorgersi che ci sono affreschi ancora stuccati, le grottesche che nel Colosseo e nella villa di Nerone sparirono alla fine del cinquecento.

 Tornando a casa il visitatore si sente sperduto e anche io mi sento perduto. Mi sembra di aver fatto una passeggiata in campagna. È stato come visitare un bosco. L’architettura non parla, viene riassorbita dalla natura e diventa una massa informe come la Tiburtina, come i paesi e i quartieri che percorro all’incontrario e finalmente capisco che cosa mi ricordano: le strade di Favara e di Corleone. Si accendono le luci della sera e la Tiburtina si popola di prostitute e travestiti. L’Adriano della Yourcenar diceva: “Io sono il custode della bellezza del mondo”. Ci facciano o no la discarica, chiunque abbia visitato Villa Adriana, quando va via si sente discaricato – Francesco Merli