Bassi livelli di Vitamina D sono associati a stadi clinici da Covid-19 più gravi.
E’ quanto emerge da uno studio retrospettivo su 52 pazienti, che ha visto la collaborazione dell’ISS, dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma e di altre istituzioni.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Respiratory Research, ha coinvolto pazienti affetti dall’infezione con coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, l’età mediana era di 68,4 anni).
I livelli di vitamina D erano carenti (con livelli plasmatici di VitD molto bassi, sotto 10 ng/ml) nell’80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%.
“Nella nostra indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di VitD a quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e coagulazione) e ai risultati radiologici tramite TAC durante il ricovero per COVID-19“, spiega Francesco Facchiano, ricercatore dell’ISS, coautore dello studio.
“Abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di VitD, indipendentemente dall’età, mostravano una significativa compromissione di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore coinvolgimento polmonare”.
Questa vitamina è un micronutriente coinvolto nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa, ma non solo.
Svolge anche un ruolo importante come un ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici.
I ricettori della Vitamina D sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel sistema immunitario.
“La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma”, si legge sullo studio.
“L’effetto della carenza di VitD nella progressione del COVID-19 o nella gravità della malattia è ancora da valutare”, spiega lo studio.
“I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di VitD e diversi marcatori di malattia”.
“Al momento è difficile sostenere se l’integrazione di VitD possa svolgere un ruolo nel combattere la gravità della malattia e ridurre la sua mortalità, ma può essere una raccomandazione utile e sicura per quasi tutti i pazienti“.
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