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Ictus, chi parla due lingue recupera meglio

EDIMBURGO – Ictus, chi parla due lingue o più recupera meglio. E’ quanto rivela uno studio dell’Università di Edimburgo, in Scozia, condotto su oltre 600 pazienti indiani. Tra i vantaggi, oltre al recupero nel caso di ictus, c’è poi anche quello di ritardare l’insorgenza delle malattie neurodegenerative.

Ma vediamo prima di che cosa si parla quando si parla di ictus. Come spiega Daniele Banfi su La Stampa, 

L’ictus è un’ostruzione a livello cerebrale delle arterie che garantiscono il corretto flusso di sangue. Quando accade, le aree a valle del blocco non possono essere sufficientemente irrorate e, con il passare del tempo, vanno incontro a morte cellulare”.

Oggi per fortuna dopo un ictus ci si può salvare.

“Accanto alle terapie farmacologiche gli interventi con approccio endovascolare hanno contribuito a fare un salto di qualità nei trattamenti. Quando una persona arriva all’ospedale con un ictus in corso, viene subito sottoposto a trombolisi, una procedura farmacologica per sciogliere il coagulo di sangue che causa l’ostruzione. In alcuni casi, però, circa il 30% degli ictus, grandi coaguli che ostruiscono le arterie maggiori, necessitano di una rimozione meccanica. Intervenire il prima possibile è fondamentale sia per evitare danni permanenti sia la morte”.

Se ci si salva dall’ictus si deve comunque iniziare una terapia di riabilitazione. Ed è a questo punto che essere bilingui aiuta molto. I ricercatori scozzesi sono arrivati a questa conclusione dopo aver analizzato i dati provenienti da oltre 600 pazienti indiani di Hyderabad: qui infatti molte persone parlano correntemente più di una lingua.

Dalle analisi di funzioni come memoria, attenzione e abilità visiva e spaziale, è emerso che nei bilingue le probabilità di recuperare da eventuali danni sono doppie rispetto a chi parla una sola lingua.

Ma non finisce qui, come sottolinea Banfi su La Stampa:

“Perché lo stesso gruppo di ricerca nel 2013 ha pubblicato uno studio analogo in cui si afferma che parlare due lingue ritarda di oltre 5 anni la comparsa dei primi sintomi di demenza rispetto alla popolazione monolingue”.

Mari

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