studio sfata mito QI

Sito americano sfata il mito del QI: test intelligenza poco veritieri

20 Dicembre 2012 - di Claudia Montanari

MILANO – Certo, scoprirlo proprio in questi giorni in cui migliaia di professori sono alle prese con il Concorsone (e relative bocciature che, a quanto pare, sembra stiano fioccando) non è proprio consolante. Eppure secondo i risultati di una maxi indagine online a cui hanno partecipato oltre 100 mila persone in tutto il mondo, la misurazione del quoziente intellettivo attraverso un singolo esame può dare esiti “altamente fuorvianti”. In sostanza, non basta superare un test per potersi definire intelligente e preparato, tantomeno  non sentirsi preparati se si fallisce. Quello del QI, dunque, è un falso mito e il suo valore va ampiamente ridimensionato.

I ricercatori della Western University dell’Ontario (Canada), che hanno lanciato lo studio, avvertono infatti che per valutare l’intelligenza di una persona, gli aspetti da considerare sono diversi e servono necessariamente più prove. Le conclusioni dell’indagine sono pubblicate sulla rivista ‘Neuron’, in un articolo firmato da Adrian M. Owen e Adam Hampshire del Western’s Brain and Mind Institute della città canadese di London, e da Roger Highfield, direttore affari esterni del Science Museum Group di Londra in Gb.

L’indagine era composta da 12 test cognitivi utili a sondare le capacità di memoria, ragionamento, attenzione, programmazione, ma anche esperienze e stili di vita. Il primo dato è che la reazione della Rete è stata “sorprendente”, dice Owan. “Ci aspettavamo poche centinaia di risposte, invece si sono mobilitate migliaia e migliaia di persone, anziani compresi, in ogni angolo del mondo e di ogni cultura e religione”.

Analizzando le risposte è emerso che, quando viene esplorato un vasto range di funzioni cognitive, le differenze osservate possono essere spiegate solo attraverso almeno tre distinte componenti: memoria a breve termine, capacità di ragionamento e abilità di parola. Sintetizzare tutto in un unico componente è impossibile, quindi un dato come il QI non avrebbe senso dal punto di vista scientifico.

Utilizzando tecniche di risonanza magnetica funzionale, gli scienziati hanno anche cercato di collegare le diverse abilità cognitive con differenti circuiti cerebrali. Considerando il gran numero di persone coinvolte nell’indagine, infine, è stato possibile raccogliere una grande quantità di nuove informazioni su come l’età, il genere maschile o femminile, o la passione per i videogame possano influenzare le funzioni cerebrali.

È risultato che “allenare regolarmente il cervello non sembra migliorare le performance cognitive, mentre l’invecchiamento ha un profondo effetto negativo sia sulla memoria che sulle capacità di ragionamento”, riporta Owen. “Un fatto interessante – aggiunge Hampshire – è che chi utilizza regolarmente videogiochi sul Pc mostra performance significativamente migliori sia dal punto di vista della memoria a breve termine, sia sotto l’aspetto delle capacità verbali. Invece, le persone che soffrono spesso di ansia mostrano scarsi risultati soprattutto rispetto alla memoria a breve termine”.

Dopo questi risultati, la ricerca continua. Il team ha lanciato infatti una nuova versione dei test. Qui il sito per mettersi alla prova.

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