Rosy Canale reagisce all' andrangheta. Massacrata di botte, racconta il dramma

Rosy Canale reagisce alla ‘ndrangheta. Massacrata di botte, racconta il dramma

7 Ottobre 2013 - di Claudia Montanari

ROMA — Massacrata di botte. Calci e pugni -di cui porta ancora i segni- per essersi opposta alla ‘ndrangheta. È la storia di Rosy Canale, diventata ora attrice con l’unico obiettivo di portare la sua storia e quella di tanti altri nei teatri di tutta Italia, perché la gente sappia.

Comincia nel 2004 la sua storia, nella sua terra d’origine, la Calabria. Laura Martellini racconta sul Corriere della Sera la storia di Rosy, donna forte e coraggiosa che non si è voluta piegare alla ‘ndrangheta. All’epoca Rosy era una imprenditrice, proprietaria a Reggio Calabria di un locale alla moda, “Il Malaluna”. La sera del 25 Aprile del 2004 venne massacrata di botte, ridotta in fin di vita. Laura Martellini scrive:

“La sua colpa: non aver accettato che sotto i suoi occhi ragazzi coetanei di sua figlia spacciassero droga. «Buttai fuori un ragazzino, poi un secondo, e un altro ancora» ricorda Rosy. Finché da «storticedda», rimprovero mite, quasi un buffetto sulla guancia, divenne infame agli occhi della ’ndrangheta. E furono botte, di cui porta ancora i segni nell’andatura zoppicante”. 

Nel 2012 Rosy Canale pubblicò anche un libro, “La mia ‘ndrangheta”, e in occasione della presentazione raccontò:

“Nella mia terra chi decide di fare impresa deve scendere a patti con la malavita, quando io mi sono opposta allo spaccio di droga nel mio locale mi hanno massacrata anche fisicamente, sono stata punita – racconta Canale –. Ma ho deciso di dare una seconda chance anche a tante donne che come me hanno subito questa violenza, perché volevo fare qualcosa di concreto per la mia terra. Qualcosa che andasse al di là dell’antimafia che dà visibilità solo a chi la fa e non lascia niente sul territorio”.

Ora Rosy vuole gridare all’Italia intera il suo dramma, che è anche quello di tanta altra gente oppressa dalla ‘ndrangheta calabrese, e lo fa attraverso il teatro . Si legge sul Corriere della Sera:

Malaluna – Storie di ordinaria resistenza nella terra di nessuno, con la regia di Guglielmo Ferro, figlio del grande Turi, è il modo per Rosy Canale di raccontare se stessa, senza costumi di scena né potenti apparati scenografici. «Sarò vestita in maniera semplice, un po’ rockettara com’ero ai tempi del Malaluna. Io, con i miei vuoti di memoria e le mie vocali sbagliate. Non ho sentito il bisogno di affidarmi a un’attrice: da ragazza mi esibivo nei piano bar, stare sul palcoscenico è come coronare un vecchio sogno, anche se certo avrei preferito arrivarci da una strada meno tortuosa. Ma la benedizione di Franco Battiato mi rasserena». Anteprima a Soverato il 13 ottobre. Poi il 18 e 19 al Franco Parenti di Milano, il 29 al Teatro Colosseo, a Torino, l’8 marzo Varese, il 14 Trieste, il 27 il Duse di Bologna…”

L’anteprima avrà luogo il 13 Ottobre a Soverato. Poi il 18 e 19 al Franco Parenti di Milano, il 29 al Teatro Colosseo a Torino, l’8 marzo Varese, il 14 Trieste, il 27 il Duse di Bologna.

 

Scrive Laura Martellini:

“Rosy, folti capelli castani e due occhi neri a mandorla che hanno il riflesso della sua terra, con il suo «prima» e il suo «dopo». In quel dopo c’è la scelta di non andarsene per sempre dopo il «fattaccio», anche se mamma Lidia e papà Angelo e la figlia 19enne Micol hanno dovuto trovare riparo in America, per il rischio di ritorsioni. Rosy no: dopo la mattanza di Duisburg del Ferragosto 2007, è andata a vivere San Luca, a un’ottantina di chilometri da Reggio. Come lanciare la sfida a un avversario nel suo terreno di gioco e stando alle sue regole. «Mi sono offerta come volontaria nella scuola media del paese — ricorda —. Ho parlato d’arte e ho svolto laboratori con i figli delle persone perbene e dei criminali, e ogni volta che quei ragazzi si avvicinavano a me, s’allontanavano dalla cultura malata nella quale erano cresciuti. Parlavo con le donne, mamma fra altre mamme. Senza dare nell’occhio, ho lavorato nell’ombra, con umiltà»”.
“Avesse denunciato i suoi aguzzini, la sua rivoluzione silenziosa non sarebbe stata possibile: «L’aver rinunciato a fare nomi e cognomi mi è costata parecchio, ma così ho mantenuto il rispetto dei miei conterranei. Non sono stata ritenuta un’infame». La rete femminile è diventata associazione, il Movimento delle donne di San Luca, ospitato in un villino confiscato alla mafia, dove Rosy s’è trasferita con le poche cose rimastele. «Preparavamo il pane, ricamavamo. Perché ne parlo al passato? Non ce l’abbiamo più fatta a pagare le utenze. Per un po’ sono andata avanti di tasca mia, ma non poteva durare. Pensare che anche per noi c’era stata la passerella con le autorità, come accade alle commemorazioni di Falcone e Borsellino! Fiori e gargarismi inutili. Intanto i ragazzi di San Luca continuano a giocare con le pietre». Avverte, Rosy: «Tutti noi abbiamo in mente lo stereotipo di Don Vito nel Padrino , ma non è più così: oggi la ’ndrangheta e la mafia ti sorridono, sono gli amici, gli insospettabili»”.

In merito alla rappresentazione teatrale, Rosy confessa:

“Non m’interessa la popolarità, né essere vista come una donna coraggiosa e straordinaria. Semplicemente non mi sono adeguata a logiche perverse, e ho scelto un’altra strada. Una decisione da considerare normale in un Paese civile»”.