“È notte fonda ma gli operai della Ha Meem Sportswear, un’azienda tessile di Dhaka, in Bangladesh, continuano a lavorare senza sosta. Sono in fabbrica dalle sette di mattina e quando escono, alle 2.30, sono esausti. Ma devono recuperare in fretta le forze perché tra poche ore, esattamente alle 7.00, devono tornare a lavorare. La Lidl attende che la commessa venga spedita”.
“Gli operai dell’industria tessile SL Garment Processing Ltd, che conta 500 fabbriche ed esporta verso gli Usa e la Ue prodotti pari a 4 miliardi l’anno, chiedono un aumento salariale e migliori condizioni di lavoro. In Cambogia sono rappresentati da un sindacato, l’Unione democratica. Ai lavoratori del Bangladesh il governo proibisce l’organizzazione sindacale. Ancora ieri migliaia di operai bengalesi sono scesi in piazza a Savar e Ashulia, vicino alla capitale Dacca, per rivendicare un minimo salariale di 100 dollari al mese (dai 66,25 attuali): 80 sono stati feriti negli scontri con la polizia, mentre 200 fabbriche restano chiuse. Circa 4 milioni di bengalesi, per lo più donne, confezionano abiti e scarpe in condizioni miserabili: in aprile, il crollo di una fabbrica ha ucciso 1100 persone”.
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