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Tumore ai polmoni, nuove speranze dalla immunoterapia

COPENAGHEN – Tumore ai polmoni, nuove speranze dall‘immunoterapia, che mira a stimolare il sistema immunitario a combattere il cancro senza ricorrere alla chirurgia o alla chemioterapia.

Una nuova molecola immunoterapica, pembrolizumab, ha infatti dimostrato di diminuire del 40% il rischio di morte nei pazienti rispetto alla chemioterapia tradizionale a base di platino, sostituendosi alla chemio (che ha una minore tollerabilità e più effetti collaterali) come trattamento di prima linea, ovvero subito dopo la diagnosi.

Un risultato che, secondo gli esperti, promette di cambiare la lotta a questo tipo di neoplasia, che è la terza per incidenza in Italia, con oltre 41mila nuove diagnosi stimate nel 2016. E tutto ciò con un risparmio anche per il Servizio sanitario nazionale.

Pembrolizumab ha  dimostrato di migliorare sia la sopravvivenza libera da progressione della malattia che la sopravvivenza globale. In particolare, lo studio ha coinvolto 305 pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in fase avanzata (con la particolare espressione della proteina PD-L1 sulle cellule tumorali superiore o uguale al 50%) e ha evidenziato una sopravvivenza libera da progressione di 10,3 mesi nei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto a 6 mesi con la chemioterapia e una sopravvivenza globale a 6 mesi dell’80,2% rispetto al 72,4%.

Siamo ”di fronte a dati che non si limitano a una significatività statistica, ma implicano un impatto concreto nella pratica clinica quotidiana”, ha commentato la dottoressa Silvia Novello, oncologa all’Università di Torino. “Il 60-70% delle neoplasie polmonari è diagnosticato in fase avanzata. L’immuno-oncologia finora ha mostrato risultati positivi in seconda linea e prevalentemente nei pazienti con istologia squamosa. Ora queste armi dimostrano di essere efficaci in prima linea, quindi al momento della diagnosi, e anche nell’istologia non-squamosa, che rappresenta la grande maggioranza dei pazienti. Il vantaggio per i pazienti è significativo perché, se rispondono a determinati requisiti, possono evitare la chemioterapia e aver accesso a farmaci innovativi caratterizzati da una tollerabilità migliore”.

Il tasso di risposte si è rivelato essere più alto nei pazienti trattati con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia (44,8% vs 27,8%) e gli eventi avversi meno frequenti. I dati, poi, ”sono impressionanti se si analizzano le curve di sopravvivenza riferite ai pazienti selezionati in base alla maggiore espressione di un biomarcatore, ossia la proteina PD-L1, sulle cellule tumorali, sottolinea Novello. L’immuno-oncologia ha cioè bisogno dei biomarcatori, potenziali strumenti per identificare in anticipo le persone in cui queste terapie possono essere efficaci”.

Mari

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