Salute

Aspirina riduce rischi di un secondo Infarto ma solo metà dei pazienti la prende

L’aspirina a basse dosi è da lungo tempo un pilastro nella prevenzione dei rischi cardiaci, in particolare per coloro che hanno già avuto un infarto. Tuttavia, uno studio recente ha rivelato che nonostante la sua efficacia dimostrata nel ridurre le probabilità di un secondo episodio cardiaco, meno della metà dei pazienti a cui è stata prescritta l’aspirina effettivamente la assume.

Pubblicato sulla rivista scientifica Jama, questo studio mette in evidenza una discrepanza significativa tra la prescrizione dell’aspirina e la sua effettiva assunzione da parte dei pazienti, con conseguenze potenzialmente serie per la loro salute a lungo termine.

L’importanza dell’Aspirina nella prevenzione cardiovascolare

L’aspirina a basse dosi è stata ampiamente raccomandata per le persone a rischio cardiovascolare, specialmente per coloro che hanno già avuto un infarto. Questo farmaco ha dimostrato di avere proprietà anticoagulanti e anti-infiammatorie che possono ridurre significativamente il rischio di un secondo episodio cardiaco o ictus. La sua disponibilità a basso costo e la facilità di reperimento lo rendono un intervento preventivo prezioso.

La sfida dell’adesione al trattamento

Nonostante i suoi benefici provati, lo studio ha rivelato che solo il 40% dei pazienti cardiopatici a cui è stata prescritta l’aspirina effettivamente la prende. Questo divario nell’aderenza al trattamento solleva preoccupazioni importanti sulla salute dei pazienti e sulla gestione delle malattie cardiache. Analizzando la distribuzione geografica dei pazienti, gli scienziati hanno osservato discrepanze significative tra i diversi paesi.

Disparità nella prescrizione e nell’uso dell’Aspirina

I risultati dello studio rivelano che la discrepanza tra la prescrizione e l’uso dell’aspirina è più pronunciata nei paesi meno sviluppati. Ad esempio, in paesi come l’Etiopia, il Benin e l’Afghanistan, solo il 16,5% dei pazienti che dovrebbero assumere l’aspirina lo fa effettivamente. Al contrario, in nazioni come l’Inghilterra, gli Stati Uniti e altre aree sviluppate, questa percentuale sale al 65%.

Lo studio e le sue implicazioni

Lo studio è stato condotto presso la Washington University e la University of Michigan, con la collaborazione di istituzioni internazionali. I dati provenivano da 51 paesi, dove sondaggi sull’uso dell’aspirina sono stati condotti e monitorati per un periodo di sette anni, dal 2013 al 2020. Questa ricerca sottolinea l’importanza di affrontare le cause sottostanti di questa discrepanza nell’adesione al trattamento, inclusi fattori socio-economici, accessibilità alle cure e consapevolezza sulla prevenzione cardiovascolare.

Claudia Montanari

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