NEW YORK – Scostumista, NYFW: cosa indosseremo, cosa vedremo…. Si è conclusa giovedì 18 febbraio la settimana della moda Newyorkese. Ho davanti a me le foto degli outfits che ho selezionato, li guardo, non ho brividi particolari, nessuno mi ha fatto battere il cuore, ma riguardando attentamente le mie scelte capisco una cosa: preferisco la semplicità.
Mi piace come sempre molto il rigore e il classicismo moderno dell’ormai consolidatissimo marchio delle gemelle Mary-Kate & Ashley Olsen, ossia The Row, materiali ricchi e lussuosi come il cachemire, l’alpaca, la nappa e il breitschwanz, colori neutri e tagli sartoriali per linee essenziali, depauperate da qualsiasi orpello. Orpelli che invece non mancano sugli abiti da red carpet di Marchesa, al solito le designer Georgina Chapman e Keren Craig arricchiscono i loro abiti di cristalli, ricami, piume e paillettes su lunghi chiffon fluttuanti, è un’estetica quasi naive che mi avrebbe incanto quando da bambina disegnavo abiti per principesse e li soffocavo di nocche, piume nastri e merletti, too much; mi piace invece il discorso che ha fatto Michael Kors: casual di notte e glam di giorno, il designer smorza i toni mixando la semplicità col glamour: shirt e golf classici su pantaloni glitter o gonne con piume. Tutt’altro che semplice è la collezione gotica di Rodarte, mi salta alla mente Eva Green in Penny Dreadful con i bellissimi abiti vittoriani disegnati da Gabriella Pescucci (l’unica cosa che resta impressa di quella serie tv). I personaggi che sfilano sulla passarella di Marc Jacobs sono drammatici, drammatico è il trucco, l’acconciatura e gli abiti sono drammaticamente eccessivi.
A tradire la mia predilizione per la semplicità è l’interesse che ho avuto per la sfilata di Nicopanda, interesse distaccato, s’intende è assolutamente lontanissimo dal mio stile, ma alcuni outfits del brand di Nicola Formichetti hanno catturato la mia attenzione, come le stampe multicolor e le rouches asimmetriche, lo styling ispirato alle eccentriche harajuko girls del Giappone. Mi lascio distrarre più volentieri dall’Art-Déco che ha ispirato la sfilata di Naeem Khan, bello un lungo kaftano nero e oro, e un abito con ricami viola, rossi e neri che mi rimandano ad atmosfere “klimtiane”. In bilico tra la semplicità e l’eccentrico, ci sono gli abiti di Rosie Assoulin, si fanno notare con discrezione soprattutto le tute, i pantaloni larghi e le salopette. Discorso particolare merita Tommy Hilfiger, l’ispirazione “Navy 40’s” è riuscitissima, righe di nastri in seta bordano le gonne trasparenti indossate su biancheria di pizzo a vita alta, belli gli abiti e le gonne in nappa.
Sembra di entrare in una scultura di Niki De Saint Phalle indossando le architetture di tessuti colorati e scolpiti intorno al corpo di Delpozo, mentre Proenza Schouler attraverso lacci, incroci e sovrapposizioni definisce e ridisegna le silohuette con nuove forme insolite. I corpi coperti dagli abiti ispirati a Modigliani di Vera Wang regalano alla donna una figura sottile e allungata. Bravo anche Christian Siriano, che con rouches orizzontali e stampe trompe-l’oeil crea outfits non scontati. Per la “signora metropolita” non delude Victoria Beckham con le sue linee fascianti, i top indossati su maglie a collo alto e le lunghezze midi ci mostrano una donna moderna e raffinata; le “signore” di Tory Burch sempre impeccabili sono vagamente più easy, tra ispirazioni ’70 e richiami all’equitazione. Per le più giovani due marchi interessanti: Alice+Olivia e Co., si respira anche qui un’aria seventies, come anche dalla Furstemberg, con le stampe tipiche di quegli anni, i gilet in maglia indossati su pantaloni ampi e camice con fiocco al collo. Se Michael Kors si è spinto oltre, cioè ad un decennio prima, infatti sono gli anni ’60 ad essere reinterpretati dallo stilista e Tommy Hilfiger va ancora più indietro nel tempo con gli anni ’40, Ralph Lauren propone atmosfere prima metà ’90, con i colori caldi , la maglia e il cammello per gli abiti da giorno, boccio il broccato che non mi piaceva allora e continua a mio avviso ad essere troppo barocco anche oggi. E’ la seconda metà degli anni ’90 quella che preferisco: il minimalismo, le linee asciutte e appunto, la semplicità dei tagli, segno distintivo della moda Newyorkese. E qui entrano in gioco brands come Maiyet, Narciso Rodriguez, Rag&Bone, Adam Selman, Zac Posen, Jason Wu, Derek Lam e su tutti Calvin Klein.
Less is more allora, ma con qualche divagazione per non rischiare di annoiarsi (come con gli abiti sofisticati e superfemminili di Altuzarra e una meraviogliosa tuta glitter di Rachel Zoe).
Must have: le flatform di Vera Wang e di Delpozo. (Foto: Comunicati Stampa, Ufficio Stampa).
di Annapaola Brancia d’Apricena
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