ragazza salta felice
Felicità: una parola quasi impronunciabile, intimorisce riconoscerla in qualche raro momento, frustrante rincorrerla, inutile rimpiangerla. Ecco sette spunti di riflessione e approfondimento a cura della psicoterapeuta Valeria Locati, in collaborazione con Whirpool, in occasione della Giornata mondiale della felicità il 20 marzo.
Perché proprio il 20 marzo si celebra da 10 anni la Giornata Internazionale della Felicità? E’ una data stabilita dall’Onu poichè il 20 marzo è il giorno dell’equinozio di primavera, simbolicamente l’inizio del rifiorire della vita (una risoluzione avviata dal Bhutan, un Paese che ha riconosciuto il valore della felicità nazionale rispetto a quello del reddito nazionale fin dai primi anni ’70. Il Bhutan infatti ha adottato l’obiettivo della Felicità Nazionale Lorda sostituendolo al Prodotto Nazionale Lordo (PNL)).
Siamo talmente abituati a pensarci di corsa, sopraffatti, al limite delle nostre energie che accarezzare l’idea di essere felici ci fa sentire in colpa, lavativi, poco orientati alla produzione di valori. Non è così, la psicologia e la ricerca ce lo dicono a gran voce: dedicarsi a ciò che ci rende felici migliora la concentrazione, la percezione di sé, il benessere psicofisico globale.
Tutti noi siamo portatori di pensieri intrusivi. Si insinuano nelle nostre giornate, sottraggono energie, ci portano stress e confusione. Evitarli o tentare di reprimerli ha lo stesso effetto del cancellare la strada dalla mappa e trovare scorciatoie di testa nostra. Vanno guardati, messi sotto la lente di ingrandimento per il tempo necessario a capire con quali risorse gestirli. Prima è meglio, poi è troppo.
Il contesto familiare, culturale e sociale in cui siamo immersi ci vuole supereroi, ma in silenzio. Abbiamo imparato a contare per gli altri facendo, sentendoci unici, indispensabili, ma per questo anche molto soli. Lasciare all’altro, anche quando piccolo e inesperto, la possibilità di occuparsi dei suoi impegni e delle sue incombenze ci aiuta a ridimensionare le fatiche e le onnipotenze.
Essere felici non è mai una questione di ingenuità o di leggerezza infantile. Fermarsi a riflettere su come ritrovare gioia di vivere ed entusiasmo implica partire dal perché li abbiamo persi. Significa fare i conti con la tristezza e spesso con la rabbia che colorano le nostre giornate. E questo fa di sicuro più paura dell’abitudine allo stress a cui ci sottoponiamo continuamente.
La realtà è una questione di sguardi, di punti di vista dai quali osserviamo le persone e le loro relazioni. La narrazione di noi stessi al limite delle energie, pronti a esplodere da un momento all’altro è solo una delle possibili descrizioni che ci riguardano. Capire perché sia preponderante può essere l’inizio di un percorso di conoscenza in cui sentirci efficaci.
Ci ripetiamo in continuazione quanto sia faticoso essere d’aiuto per tutti, quanto poco si venga riconosciuti, quanto, anche al lavoro, ogni gesto sia dato per scontato. E se iniziassimo a chiederci cosa davvero ci aspettiamo da quella riconoscenza? Quanto la frustrazione di non essere visti abbia a che fare invece con il desiderio innato di essere amati? Ecco, non è sostituendoci agli altri che ci faremo amare e saremo felici.
La vita non è una gara a ostacoli o un livello di un videogioco in cui vincere un premio. È un percorso assolutamente personale, in cui non dobbiamo meritarci una gioia, un momento felice, pensarci soddisfatti. Essere felici fa parte della natura umana, ne è una condizione per la sopravvivenza e per la qualità del nostro futuro e delle relazioni con le persone che amiamo. Non è accessoria, bensì una necessità di cui essere responsabili in prima persona.
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