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Scostumista: viaggio attraverso la storia della camicia

ROMA – Scostumista: viaggio attraverso la storia della camicia. Ci ho messo un po’ di tempo a leggere “Il lungo viaggio di una Chemise – Un’epoca attraverso un abito” di Fabrizio Casu, l’ho letto accuratamente, sottolineando con la matita i passaggi più interessanti proprio come una brava studente appassionata di moda, ma anche di storia, arte e antropologia.

Il libro di Casu descrive  in modo specifico e dettagliato la nascita di uno degli indumenti più comuni del nostro guardaroba: la camicia. E lo fa con un esame approfonditissimo e dettagliato del periodo storico e del contesto sociale, partendo dall’analisi di un quadro del 1783: “La reine en gaulle” di Elizabeth Vigée Lebrun, opera che all’epoca destò molto scalpore, rappresentando la regina Maria Antonietta quasi seminuda, con indosso appunto solo  una lunga veste di mussola bianca, assolutamente inadeguata rispetto agli abiti formali  che il soggetto richiedeva. La chemise di Maria Antonietta annienta la distanza e il distacco della regina “dall’altro” che attraverso abiti ben strutturati e metri di pesante tessuto broccato si era soliti dare. Con la chemise ci si avvicina quasi alla nudità, sinonimo quindi di uguaglianza.

Se, come sostiene il sociologo Georg Simmel, le mode della classe elevata vengono abbandonate nel momento in cui la classe inferiore comincia a farle proprie, con la chemise avviene per la prima volta nella storia il fenomeno inverso: non è il popolo ad imitare la corte, ma è la corte che prende ispirazione dalla strada. L’embrione dell’attuale  street-style nasce quindi più di tre secoli fa!

Potremmo inoltre definire la regina Maria Antonietta una vera e propria trend setter, perché quando inizia ad indossare le gaulles alla fine degli anni ’70, la moda esplode in tutta Europa e prende il nome di Chemise à la reine. E tra gli anni ’80 e la prima metà dei ’90, la vecchia chemise di Maria Antonietta, aveva diffuso in Europa una serie di messaggi come il modo di comportarsi informale e spontaneo, nuovi valori rispetto alla privacy, il ritorno alla Natura e nuove esigenze legate alla praticità e al confort degli abiti.

Continuando sul piano di un’analisi parallela tra quella che fu l’evoluzione dei costumi nel XVIII secolo e il secolo attuale, si può partire  dall’assunto che  soggetto principale dell’arte di  Elizabeth Vigée Lebrun, è la donna e la sua bellezza e che, come ci fa sapere l’autore, la pittrice avendo orrore della moda delle donne di quel tempo, ella stessa  s’ingegnò per rendere quella moda più pittoresca, senza aiuto di stylist, sottopose le proprie clienti ad una sorta di metamorfosi pre-seduta, eliminò il belletto sulle guance e le ingombranti parrucche,  sciolse i capelli, sostituì corsetti e panier con gaules di mussola di cotone, rivelando così la difficile arte della semplicità. Assistiamo ad un fenomeno simile in questi ultimi anni in cui ai  ritocchi patinati e all’ uso sconsiderato di  Photoshop, fotografi come Juergen Teller e Terry Richardson  immortalano nei loro scatti modelle nude e senza trucco. Sintomatica è stata la campagna autunno/inverno 2015-16 di Celine in cui le modelle struccate sono state ritratte senza nascondere i loro difetti.

Corsi e ricorsi ci vengono proposti e sono resi possibili grazie anche a chi studia e ci trasmette l’amore e la passione per la storia, succede con le 200 pagine di questo interessante libro di Fabrizio Casu, che ci ha fatto conoscere e riflettere attraverso un semplice capo di vestiario, su un arco  temporale lungo più di 300 anni.

Claudia Montanari

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