ragazzi a scuola

A scuola tutto l’anno? Addio vacanze estive

16 Maggio 2012 - di Claudia Montanari

WASHINGTON (USA) – A scuola tutto l’anno: non è una punizione tipo “a letto senza cena”, ma la sorte che la riforma del sistema scolastico potrebbe presto riservare agli studenti americani e in futuro anche agli europei. Negli Stati Uniti il dibattito va avanti da tempo e il ragionamento di chi propone un allungamento dell’anno scolastico sembra non fare una piega. Queste in sintesi le motivazioni di chi vuole lasciare aperte le scuole anche a luglio e agosto, elencate da Vittorio Zucconi su D, il femminile di Repubblica:

Come mi ripetevo ogni mattina, quando mia madre mi scuoteva da un sonno di piombo fuso per affrontare le tragiche albe milanesi verso la scuola, è colpa dei contadini se la campanella suona di primo mattino. Mentre dimenticavo di ringraziare i miei antenati nei campi, quando finiva l’anno scolastico e si spalancavano tre mesi di vacanza.

Il nostro calendario è ancora, come scrive lo specialista americano di pedagogia e attività scolastiche, il professor Frederick Hess, un “calendario agrario”, costruito sul lavoro nella campagna. Ci deve essere un tempo per tornare in cascina a occuparsi degli animali a sera, una lunga stagione per il raccolto, le feste per i riti religiosi e per la manutenzione degli attrezzi e delle abitazioni.

Questo ritmo agreste, per nazioni nelle quali ormai tre, quattro abitanti su cento al massimo sono agricoltori, non ha più senso, risponde negli Stati Uniti il movimento d’opinione che spinge per una scuola nonstop, come nonstop è ormai il lavoro di adulti che non devono preoccuparsi di seminagioni, luce naturale e raccolti. Persino il presidente Obama ha detto, pubblicamente, che “le sfide del nuovo secolo richiedono più tempo in classe”.

I favorevoli fanno notare quello che tutti sappiamo, che gli odiosi compiti delle vacanze servono a poco; che dopo tredici o quattordici settimane di non scuola spesso si deve ricominciare daccapo. Il massiccio delle vacanze in estate costringe le famiglie a regolare anche il proprio tempo libero e concentrarlo in quel periodo, mentre distribuire le settimane sul corso dell’anno intero permetterebbe una più rilassata programmazione con gli impegni di padre e madre e una diminuzione del “tragico” esodo estivo.

Nelle ore supplementari pomeridiane di una vera scuola full time, nuove materie, o approfondimenti di altre, renderebbero più solida l’istruzione e quindi più facile portare a velocità gli scolari più lenti, anziché puntare, come inesorabilmente avviene, sui migliori, lasciando indietro i meno pronti.

Questa la situazione attuale del calendario scolastico nei Paesi occidentali:

In Italia va dai primi di settembre a massimo la metà di giugno, per un totale, variabile da regione a regione di minimo 200 giorni di scuola.
In Francia si inizia dai primi di settembre per finire ai primi di luglio, ma con molte vacanze durante l’anno. Totale 165-170 giorni.
In Germania si va a scuola dalla fine di agosto ai primi di luglio. I giorni complessivi, a seconda dei Land, sono minimo 188 massimo 208.
In Gran Bretagna l’anno scolastico va da inizio settembre a metà luglio, anche qui con molti break. Totale: 190-195 giorni.
I break sono parecchi anche negli Usa, dove l’anno inizia a fine Agosto e finisce agli ultimi di maggio, per un totale di 184 giorni.

Mentre i nostri studenti passano circa la metà dell’anno a casa, gli scolari indiani e cinesi li superano in tutte le graduatorie della competitività: non è solo la conclusione dell’ultimo dei fanatici del Pil, è anche un po’ il pensiero di Obama e del neo-eletto premier francese, il socialista Francois Hollande, che vuole allungare anche lui l’anno scolastico.

Ma le ambizioni di Obama e di Hollande cozzano con la dura realtà. I “contro”, come è stato per i “pro”, li spiega molto bene Zucconi:

Una scuola a tempo pieno pieno, e per tutto l’anno suona bene sulla carta e negli studi accademici, ma nella realtà ha un suono un po’ diverso. Richiederebbe molti più insegnanti e un uso totale degli istituti e delle scuole, possibilmente con il condizionamento dell’aria nelle terre più calde, che costerebbe quindi molto di più allo stato, o alle comunità locali, proprio mentre si taglia (e non parliamo neppure dei chilometri di carta igienica in più che i genitori dovrebbero pagare di tasca loro).

I bambini fino a dieci anni non hanno la capacità di concentrarsi e di prestare attenzione “dalle 9 alle 5″, come l’orario di lavoro. Il rischio è quello di accatastare lezioni e insegnamenti che scambiano la quantità per la qualità, o di lasciare i figli in deposito.

E se la mancanza di fondi per adeguare a un loro utilizzo full time le scuole e il “corpo docente” – come in burocratese è definito l’insieme degli insegnanti – è già un problema in Stati Uniti e Francia, figuriamoci nell’Italia stretta fra l’incudine del debito pubblico e il martello “tecnico” dei tagli. Per non parlare della refrattarietà dei bambini a un livello di prestazioni da piccoli impiegati.

A meno che non si voglia inseguire Cina e India sul terreno del lavoro minorile, togliendo agli under 10 un “diritto all’infanzia” faticosamente conquistato nei secoli dalla cosiddetta civiltà occidentale. Ma ciò assomiglierebbe molto più a un regresso che a un progresso, checché ne dicano le percentuali del Pil e i fondamentalisti della crescita.