Samantha Cristofaretti, prima donna italiana nello spazio. Ma non ditelo

Samantha Cristofaretti, prima donna italiana nello spazio. “Ma non ditelo”

20 Giugno 2014 - di Claudia Montanari

ROMA – Si chiama Samantha Cristofaretti, ha 37 anni e il prossimo 24 novembre sarà la prima donna italiana ad andare nello spazio. Ma non glielo dite. Samantha, infatti, non ama le catalogazioni per genere. Ama, invece, definirsi una professionista, al pari dei colleghi. Una professionista che tra pochi mesi raggiungerà un traguardo importante: quello di essere lanciata in orbita. Dallo spazio, Samantha parlerà di cibo e salute.

Intervistata da Gabriele Santoro per il Messaggero, Samantha si racconta. Parla del suo percorso e delle sue emozioni, e dell’avventura che l’aspetta per la missione Futura.

«I discorsi sul genere non mi appassionano. Sono una professionista, eguale ai miei colleghi, che sta raggiungendo un traguardo importante dopo un percorso impegnativo e avvincente».

Samantha andrà sullo spazio a bordo della navetta russa Soyuz e verrà lanciata in orbita dal Cosmodromo kazako di Baikonur. Aggancerà la Stazione Spaziale Internazionale per la missione Futura, nata da un accordo bilaterale Nasa-Asi.

Samantha sogna le stelle già da ragazza. Dopo due lauree si è specializzata nell’Accademia dell’Aeronautica di Pozzuoli e oggi vanta i gradi di capitano dell’Aeronautica militare. Nel 2009 arriva la grande occasione, selezionata insieme a Luca Parmitano dall’Agenzia Spaziale Europea. Samantha si racconta a Gabriele Santoro:

 

Tra qualche mese sarà possibile seguirla dal diario di bordo e strumento di divulgazione web Avamposto42. Una missione di sei mesi. Che cosa dobbiamo attenderci dai protocolli che l’impegneranno: nuovi scenari per la ricerca?
«La stazione spaziale internazionale è un grande laboratorio che offre alla comunità scientifica l’opportunità eccezionale di lavorare in una condizione di microgravità per un periodo prolungato. Così si possono osservare e studiare, per esempio nelle scienze fisiche, una serie di fenomeni che a terra restano mascherati. In campi come la meccanica dei fluidi, la combustione, le scienze dei materiali si ottengono risultati molto concreti».

Dallo studio della circolazione venosa cerebrale per ottenere nuovi mezzi diagnostici alle stampanti 3D, per giungere al caffè, si muoverà su molteplici fronti?
«Le sperimentazioni dell’Agenzia spaziale italiana, di concerto con il mondo della ricerca universitaria ed enti privati, puntano forte sulla fisiologia umana. Esporre il corpo umano allo stress dell’astronauta, ma anche semplicemente mettere in coltura delle cellule in quell’ambiente, evidenzia fenomeni che sulla terra non abbiamo mai riscontrato. Capiamo meglio lo sviluppo di alcune patologie e le contromisure possibili, e in generale come funzionano i vari sistemi del nostro corpo. Le stampanti 3D rivoluzioneranno non solo la vita nelle astronavi. Il caffè? Non un fatto di costume, bensì saremo dotati di un gioiello ingegneristico in grado di erogare l’espresso a regola d’arte in assenza di peso».

Qual è la sfida culturale, che state interpretando, per l’essere umano?
«Credo che l’esplorazione spaziale rappresenti veramente un’avanguardia tanto per i fattori scientifici, tecnologici, quanto per la riflessione filosofica sul percorso dell’umanità. Nello spazio allarghiamo i limiti. Per tutta la storia dell’umanità abbiamo vissuto su questa superficie terrestre, non ci siamo mai mossi. Ora, un passo alla volta, entriamo in nuovi luoghi dove sappiamo muoverci, vivere, lavorare e potenzialmente in futuro sfruttarne le risorse. Considero ormai conquistata la distanza di quattrocento chilometri, dove ogni novanta minuti compie una rotazione del globo la stazione orbitante. Ciò ha una profonda valenza filosofica».

Immagina di avvertire un po’ di solitudine lassù?
«Purtroppo noi astronauti siamo tutti tecnici, piloti. Ci manca lo sguardo del poeta, dello scrittore o dell’artista. Mi auguro che in un futuro non lontano anche le persone con un’attitudine artistica riescano a raggiungerci, per narrare e raffigurare quella dimensione».

Il volo è la massima espressione della libertà?
«L’aspetto emotivo conta molto. Ritrovarsi in frazioni di tempo staccati dalla gravità terrestre è sconvolgente. Il viaggio sarà molto stancante».

L’Europa investe un terzo delle risorse degli Stati Uniti per la Nasa. Nonostante ciò per astronauti e tecnologia siamo attori protagonisti della partita globale.
«In questo ambito la sinergia paga più della competizione. È facile sentirsi europei nei lunghi periodi di addestramento: facciamo squadra. Siamo eccellenza in tutti i settori dell’aerospaziale»

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