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Salva-Sallusti: via carcere, ma arrivano multe fino a 100mila € e sospensione dall’Ordine

ROMA – Niente più carcere per il giornalista condannato per diffamazione, e così anche per il direttore, ma a fronte di ciò, se condannato, il giornalista verrà interdetto dalla professione da 1 mese a 3 anni a seconda della gravità; lui, o il suo editore, dovranno pagare multe da 5 a 100mila euro. Il disegno di legge sulla diffamazione, in origine “salva-Sallusti” poi ribattezzato “legge bavaglio“, ha ricevuto il via libera dalla commissione Giustizia del Senato e ora approda in Aula.

Dal testo è stato appunto cancellato il carcere per il giornalista accusato di diffamazione e per il direttore responsabile (e qui il riferimento ad Alessandro Sallusti). Tolto il carcere, però, si è pensato a tutta una serie di pene accessorie che “puniscono” la stampa: sospensione del giornalista da uno a 6 mesi, con un aggravio fino a 3 anni in caso di recidiva; multe salatissime che vanno dai 5mila ai 100mila euro a seconda della gravità. Su questo punto il relatore Filippo Berselli, del Pdl, ha riferito, al termine della riunione, di aver proposto una rimodulazione dell’entità delle pene portando il massimo della multa da 100 mila a 50 mila euro, ma la maggioranza della Commissione ha bocciato la modifica lasciando il tetto massimo a 100 mila euro.

E’ stata invece eliminata la cosiddetta norma “anti-Gabanelli”, che mirava a rendere nulle le clausole contrattuali che accollano all’editore il risarcimento sollevando dalla responsabilità civile il giornalista. Arriva invece la novità dell’aggravante per diffamazione organizzata, quella che la relatrice Silvia della Monica (Pd) definisce “anti-macchina del fango”: quando concorrono dolosamente all’attribuzione di un fatto determinato (poi ritenuto diffamatorio) più attori oltre all’autore materiale del testo.

Quanto ai siti internet, viene specificato che le pene si applicheranno solo “alle testate giornalistiche diffuse per via telematica”. Non è infatti passato l’emendamento presentato da Vita e D’Ambrosio (Pd) che chiedeva la non applicazione della normativa ad internet. (Foto LaPresse)

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