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Rehena, “angelo di Kobane” che ha ucciso 100 jihadisti: leggenda o realtà?

WASHINGTON – Angelo o bufala di Kobane? Viene chiamata Rehana e, secondo i Social ed alcune fonti mai individuate, avrebbe ucciso più di cento miliziani ed è divenuta nei mesi una vera e propria eroina curda che combatte a Kobane contro Isis. Eppure, la verità potrebbe essere un’altra.
Guido Olimpo scrive sul Corriere della Sera:
Kobane è la sottile linea curda. Un’enclave assediata da più di un mese dall’Isis. I guerriglieri hanno tenuto, grazie al sacrificio e ai raid alleati. Una battaglia che ha fatto scoprire a molti il movimento YPG e i fratelli del Pkk, curdi siriani e turchi insieme contro il Califfo. Realtà di resistenza dove hanno avuto un ruolo le donne, presenti in buon numero tra i difensori della cittadina. Partigiane spesso senza nome. A parte la comandante Nalin Nafrin e una combattente, Rehana, ribattezzata l’angelo di Kobane. Sempre che esista davvero e non sia la figlia della propaganda
Come e quando nasce la storia di Rehana?
“La storia di questa ragazza — o meglio, del simbolo — inizia ad agosto, quando lo scontro nella cittadina curda al confine siriano deve ancora accendersi. Il giornalista svedese Carl Drott fotografa una militante dell’YPG che lo saluta con il segno di vittoria. La ragazza racconta: «Vengo da Aleppo, dove studiavo Legge, ma l’Isis ha ucciso mio padre e allora mi sono unita alla guerriglia». All’epoca però non è ancora Rehana. Sul taccuino del reporter svedese restano i dettagli ma non il nome. Che spunterà più tardi, sui media del Kurdistan.
Quando i combattimenti diventano feroci e la situazione per i ribelli a Kobane appare disperata, i giornali di tutto il mondo indugiano sull’azione delle donne. E i simpatizzanti curdi forniscono via web materiale insistendo su un tasto: «I jihadisti temono molto le nostre ragazze». Quelli dell’Isis rispondono irritati o con sberleffi macabri quando ne eliminano qualcuna. Certamente gradiscono poco, anche perché la vittoria che sembrava vicina diventa complicata. Gli assediati sono tenaci. Non possono ritirarsi, alle spalle c’è la nemica Turchia, l’unica risorsa è stare nelle case diventate trincee. Allora ecco la parola chiave: «Rehana»”
Certo, c’è da sottolineare come la vicenda raccontata sul Corriere della Sera non sia completa. Omette, per esempio, di segnalare che la BBC avrebbe voluto sentire Carl Drott proprio per smentire la storia dei 100 jihadisti uccisi.
Come si legge sul sito americano, al giornalista svedese Rehana avrebbe detto di non essere una combattente della prima linea, ma di aver fatto guardia volontaria alle case di Kobane. Risulta dunque piuttosto improbabile che, in quel ruolo, la ragazza sia riuscita ad uccidere 100 jihadisti dell’ISIS.
Inoltre, proprio quel giorno di agosto viene scattata la famosa foto che poi girerà i siti di tutto il mondo, compreso quello del Corriere della Sera. E Guido Olimpio continua nel suo racconto:
“Sull’account di Twitter del saudita @alfaisal_ragad è postata una foto cruda: mostra un mujahed che tiene in mano la testa mozzata di una curda. Sostengono che sia proprio lei, la ragazza che ha incarnato la lotta. Ma è davvero così? Il 13 ottobre — come ha ricostruito la Bbc — «Rehana» ricompare. Anzi, sembrerebbe più viva che mai in prima linea ma sopratutto su Twitter. È il blogger indiano Pawan Durani a rilanciare la notizia in Rete. Un’informazione che corre accompagnata da un dettaglio: l’angelo di Kobane ha ucciso «un centinaio di terroristi». L’immagine e la fama crescono insieme all’ammirazione per quello che stanno facendo i curdi. In inferiorità numerica, con poche armi, davanti ad un avversario dotato di cannoni e tank, non sono scappati. E lì c’è l’icona Rehana, vera o finta che sia, ma che rappresenta molte sue compagne”
Claudia Montanari

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