Mutilazione genitali femminili: atrocità e cliniche clandestine anche in GB

Mutilazione genitali femminili: atrocità e cliniche clandestine anche in GB

7 Febbraio 2014 - di Claudia Montanari

LONDRA — 66 mila donne vittime di mutilazioni genitali di cui, ogni anno, almeno 20 mila rischiano la vita. Sono le stime di polizia, associazioni mediche e volontariato appartenenti non all’Africa -dove purtroppo i numeri salgono vertiginosamente- ma nella europeissima Londra. Numeri non indifferenti per quella considerata la settima potenza mondiale nonché paese occidentale e civile.

È Fabio Cavalera ad approfondire la drammatica situazione e sul Corriere della Sera scrive:

“Tutti lo sanno però nessuno mai è stato arrestato, mai un processo per quello che dal 1985 secondo la legge britannica è un reato da 14 anni di galera. Una barbarie dimenticata e nascosta. Ha 17 anni, Fahma Mohamed. Viene dalla Somalia, che ha lasciato quando ne aveva sette, con il papà, la mamma e otto fratelli, per sbarcare nel Regno Unito. È una studentessa delle superiori a Bristol. Il velo le copre i capelli. «Cominciai a sentire parlare delle mutilazioni genitali che ero davvero piccola e ne rimasi terrorizzata». Oggi Fahma rompe il tabù, si lascia fotografare dal Guardian in prima pagina col suo bel volto e il suo sorriso, per diventare la testimonial coraggiosa di una campagna che ha l’obiettivo di liberare le bambine e le adolescenti di famiglie africane, mediorientali e asiatiche, emigrate e residenti in Gran Bretagna, dall’incubo di una violenza feroce sul loro corpo, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità «procedura per la rimozione parziale o totale dei genitali femminili per ragioni non mediche».

Fahma vive in Inghilterra ma non si capacita di come un paese tanto sviluppato rimanga così indifferente all’orrore delle mutilazioni dei genitali femminili. Per questo motivo Fahma ha scritto anche al ministro conservatore, Michael Gove:

“Possibile che l’Occidente sviluppato e maturo resti indifferente all’orrore di una discriminazione fisica, culturale e di genere esportata dalle regioni più povere dove ancora per ignoranza sopravvive la tradizione primitiva di consegnare una giovane «immacolata» al futuro sposo imponendole la mutilazione? Possibile che nelle scuole dell’Occidente e della civilissima Gran Bretagna il silenzio circondi un atto così feroce? «Bisogna fare qualcosa, bisogna fare di più» sollecita e implora Fahma. E non è l’unica. Come lei, col velo, nella City Academy di Bristol tante ragazze stanno alzando la voce. Hanno fondato la Defence Female League, la Lega per difesa delle donne, tolleranza zero con chi pratica l’infibulazione. E rendono pubblico ciò che è clandestino. L’omertà si infrange. «Ma le istituzioni devono aiutare»”

Numeri delle Nazioni Unite alla mano, nel mondo sono state stimate tra 100 e 140 milioni le donne vittime della mutilazione genitale femminile:

“In sette paesi lo sono quasi tutte le bambine e le adolescenti: il Mali, l’Eritrea, la Repubblica di Gibuti, la Sierra Leone, l’Egitto, la Guinea. E la Somalia (con la spaventosa percentuale del 97,9) di Fahma. All’unanimità l’assemblea generale dell’Onu nel 2012 votò per l’eliminazione della mutilazione genetica. Eppure poco è cambiato. E l’Europa scopre di avere la vergogna in casa “

E dire che Fahma non se lo aspettava proprio che anche nel Regno Unito potessero accadere tali atrocità:

I numeri sono impressionanti. Accade che nella «cutting season», la stagione del «taglio», in estate, migliaia di bambine e di giovani donne figlie di emigrati partano per i Paesi d’origine con il pretesto delle vacanze. In realtà sono costrette dalle famiglie perché è il periodo di chiusura delle scuole e hanno quindi il tempo «di recuperare dal trauma» e di eliminare dagli occhi i segni della sofferenza. Ventimila rischiano (ma c’è chi parla di almeno il doppio), ogni estate, il viaggio della mutilazione. E poi ci sono le cliniche clandestine, a Londra, Birmingham, Bristol. Ovunque vi sia una minoranza etnica residente, rivela al Guardian Sarah McCulloch di una organizzazione non governativa, «è un problema gravissimo e nessuno parla, nessuno informa, nessuno si muove». Poche decine di denunce (69 a Londra nel 2013) e non un caso che dalla legge del 1985 sia finito in tribunale. Adesso il Crown Prosecution Office, l’ufficio della pubblica accusa, sta esaminando dieci casi. Si promette che finalmente assisteremo al primo processo. Scotland Yard ha istituito un gruppo speciale. E il governo ha dato istruzione affinché i medici siano obbligati a segnalare le pazienti sottoposte alla violenza della mutilazione. Il passo decisivo è delle giovani che parlano e raccontano, mettendosi alle spalle le complicità di clan”