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Lui è un tipo fedele o traditore? Te lo dice il Dna

ROMA – Lui è un tipo fedele o traditore? Te lo dice il Dna. Vuoi sapere tutto, ma proprio tutto, sul comportamento sessuale del tuo partner? Il Dna è il segreto. A svelarlo è uno studio internazionale secondo cui il Dna potrebbe “predire” numerosi aspetti del comportamento sessuale, dall’età della prima volta alla propensione a sposarsi passando per la capacità di mantenersi fedeli nel tempo al proprio partner, fino all’orientamento sessuale e all’identità di genere, o al rischio di soffrire di eiaculazione precoce o di una patologia della lubrificazione.

Lo studio, pubblicato su ‘Sexual Medicine Reviews’, è guidato da Giuseppe Novelli, rettore dell’Università degli Studi Tor Vergata di Roma, genetista di fama internazionale, con Emmanuele A. Jannini, docente di sessuologia medica nella stessa università, insieme ad Andrea Burri e Patrick Jern.

I ricercatori italiani, con colleghi inglesi, svizzeri e finlandesi, hanno passato in rassegna tutti i dati prodotti dalla scienza moderna per capire il ruolo dei geni nel comportamento sessuale degli esseri umani. I geni – secondo il lavoro – intervengono sulla dopamina e sulla serotonina, le molecole che regolano nel cervello l’innamoramento, la passione sessuale, il tono dell’umore.

«Per fare un esempio – sottolinea lo studio – bloccate il gene della vasopressina (come si fa nell’animale da esperimento) e il più fedele degli individui diventerà un impenitente Don Giovanni. Aumentate l’attività del gene dell’ossitocina e ogni volta che farete l’amore, crescerà l’attaccamento nella coppia. Ossitocina e vasopressina sono ormoni prodotti dall’ipofisi posteriore. Forse negli umani le cose sono, per fortuna, un po’ più complicate, ma è affascinate vedere che la manipolazione dei geni che governano una coppia di ormoni è capace di modificare drammaticamente il comportamento sessuale».

Jannini, attuale presidente della Società Italiana di Andrologia e Medicina della sessualità, dimostra con i suoi studi pubblicati sul ‘Journal of Sexual Medicine’ che i geni influenzano la stessa percezione della bellezza di un volto: i maschi eterosessuali e omosessuali seguono identiche strategie, appassionandosi a volti, rispettivamente, iperfemminili e ipermaschili. Al contrario, un transessuale cui i geni hanno impostato il cervello a sentirsi femmina, nonostante l’apparenza fisica sia maschile, seguirà lo schema delle donne, giudicando interessante un viso maschile delicato. E saranno ancora una volta i geni che guideranno la produzione ormonale in gravidanza, responsabile di una scelta estrema durante la dolce attesa: il completo rifiuto di caratteri del viso maschile troppo virili.

E sono ancora i geni i responsabili della ‘gelosia di genere’: donne più preoccupate dell’interesse sentimentale del loro partner per le altre, maschi geneticamente terrorizzati all’idea di essere ingannati ad allevare figli non propri, il peggior fallimento genetico possibile.

Dobbiamo pensare di essere quindi completamente determinati nelle nostre scelte sessuali e addirittura sentimentali da quelle sequenze di Dna che chiamiamo geni? I ricercatori coordinati dal professore Novelli sono sicuri di no: «I fattori cosiddetti epigenetici – rispondono – quelli determinati dall’ambiente e dalla propria storia individuale sono fondamentali per spiegare la sessualità umana. Ma la scienza è altrettanto convinta che senza conoscere i geni (che a differenza delle vicende individuali, si possono misurare) non capiremmo molto della nostra affascinante e complessa sessualità». «I geni sono l’hardware che regola le scelte e i comportamenti sessuali di base – spiega Novelli – l’educazione, l’esperienza, gli incontri rappresentano invece il software. Il ‘computer sessuale’ non funziona se la macchina genetica è rotta o se i programmi comportamentali girano male». I due professori romani sono convinti che solo attraverso la conoscenza sia della genetica, sia dell’epigenetica della sessualità della nostra specie si possa togliere fiato a chiacchieroni e sessuologi da talk-show per costruire finalmente una sessuologia basata sulle evidenze scientifiche.

Claudia Montanari

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