La morte di "Femminista": per utenti web è parola abusata e da abolire

La morte di “femminista”: per utenti web è parola abusata e da abolire

17 Novembre 2014 - di Claudia Montanari

ROMA – La parola più abusata, fastidiosa, sfruttata? È “femminista”. E adesso il Time vorrebbe buttarla, abolirla, bandirla per sempre. Cosa è successo?Il «Time Magazine» ha chiesto ai suoi lettori di votare per la cancellazione di alcune parole abusate o male utilizzate.  Insieme a “influencer,” “basico” “yaaasssss”, nella lista nera è finita anche “femminista”.
Il destino ha voluto che proprio “femminista” fosse la parola più votata. Secondo l’autrice dell’articolo, Katy Steinmetz, la parola è abusata (nel senso che ricorre spesso) da quando alcune celebrità ed alcuni politici statunitensi si sono sentiti in dovere di etichettarsi in qualche modo. In sostanza, spiega Steinmetz, nessuno ha nulla contro il femminismo, ma è la parola il problema e il modo in cui è stata usata.
Il problema di fondo è che la parola “femminista” è diventata troppo inflazionata ed è stata resa banale e senza più il senso intrinseco di una volta. Elena Stancanelli scrive su Repubblica:
“Si riferiscono prima di tutto a Beyoncé, che ha campionato le parole del Ted talk di Chimamanda Adiche nella sua canzone, “Flawless”, usandole anche come sfondo dei suoi concerti. Quelle dove la scrittrice nigeriana si chiede perché si insegni ancora alle ragazze a considerare il matrimonio un obiettivo, mentre l’obiettivo che ai maschi si insegna di rincorrere è un buon lavoro, che consenta successo e denaro. E poi a tutte le altre — Taylor Swift, Lena Dunham, Lady Gaga, Miley Cyrus… — che si sono espresse non proprio richieste sull’ortodossia o le specificità del proprio femminismo. Persino il discorso di Hermione/Emma Watson alle Nazioni Unite è stato incluso in un uso pop, e quindi irritante, del femminismo, tanto irritante da meritare appunto l’ostracismo. La rete si indigna, i social non ci stanno. Roxanne Gay, autrice di Bad Feminist, twitta «In quale universo è un problema che le celebrity supportino il femminisimo rendendolo popolare?». E ancora: «Non è che per caso quelli del Time stanno con Woman Against Femminism? (il famoso tumblr nel quale alcune donne si sono fatte fotografare con cartelli che spiegavano perché a loro non serviva il femminismo: perché mi piacciono gli uomini, amo i commenti sul mio corpo, cucinare le torte di mele…)”
L’indignazione sale su Internet, schiere di giornaliste e scrittrici spiegano perché sarebbe sbagliato cancellare la parola “femminista”. D’altro canto, sul sito 4chan, orde di utenti cercano di spingere il voto a favore dell’abolizione della parola “femminista”. Alle 9.30 del mattino di giovedì “femminista” era avanti a tutti gli altri rivali di un margine a due cifre, come peggior parola del 2014.
Si legge su Repubblica:
“Finora avevano vinto parole oggettivamente orribili, acronimi impronunciabili, neologismi senza alcun significato. Esclamazioni usate come interiezioni negli sms: LOL (Laugh Out Loud, che ridere) OMG (Oh My God) YOLO (you only live once, la vita è una sola). Nel 2014 aveva vinto “twerk”, la danza che consiste nello sbattacchiare il fondoschiena resa celebre da Miley Cyrus, Rihanna e Jennifer Lopez. Parole quindi, e anche bruttine”
Gli indignati contro il Time spiegano i motivi per cui la parola “femminista” non andrebbe abolita:
Femminismo non è una parola, è un’identità, un’ideologia, un credo politico. Non può essere liquidato come un fastidioso modo di dire, finire nel mucchio dei tic linguistici. È vero che quest’anno ha tirato il vento dell’impegno e alcune donne famose, di solito impegnate soprattutto a tener lisci e appuntiti gli zigomi, hanno sproloquiato a caso su pari opportunità e quote rosa. Può essere una cosa scema, ma male non fa. Bisogna accordarsi su un’unica linea di condotta: quelli famosi, aiutano o danneggiano le cause a cui aderiscono? È difficile capire perché tirarsi una secchiata di ghiaccio in testa, allo scopo di incrementare i fondi per la ricerca sulla Sla, sia giusto, e che Beyoncè balli di fronte a uno schermo su cui stanno scritte parole intelligenti, dovrebbe essere una catastrofe. Se Jovanotti scrive sul suo account twitter che Open di Agassi è un bellissimo libro, ne fa vendere migliaia di copie. Certo, sarebbe meglio che lo stesso risultato lo ottenesse una dotta recensione, ma anche il risultato e basta è qualcosa. Tra tutte le parole brutte che il nostro vocabolario ospita e la contemporaneità inventa, ci siamo scagliati tutti con insopprimibile violenza contro “femminicidio”. Perché lo scontro maschio/femmina è ancora il nodo delle nostre società. Da quella dialettica esplosiva nasce quasi tutta l’arte, la politica, per non parlare delle psico-patologie. È irrisolto, caldo, è la nostra rivoluzione possibile, quella che, nella peggiore delle ipotesi, potremmo ancora mancare. Da qualche giorno è diventato virale (e ha prodotto decine di imitazioni) un video girato in varie città, in cui una ragazza né bella né brutta, in abiti non appariscenti, cammina. E viene sepolta di commenti, fischi, battute, proposte oscene. Chissà se sono quelli gli elettori di Time, i fischiatori da strada che non vogliono essere spernacchiati dalle femministe. O sono invece certe femministe portatrici della vulgata femminista e offese dalla sua banalizzazione, che per eccesso di severità preferiscono far saltare il banco. La politica insegna: gli avversari peggiori ce li hai quasi sempre in casa”

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