Giorgio Panariello in una struggente intervista racconta del fratello Franco: al suo posto potevo esserci io

24 Gennaio 2012 - di Claudia Montanari

MILANO- Vanity Fair dedica la copertina di Febbraio a Giorgio Panariello il quale, nell’intervista che ci sarà all’interno della rivista, si racconta con trasparenza e sincerità, a dimostrazione di come anche un comico brillante e di successo possa “nascondere” dentro di sè dispiacere e sconforto: “Primo, ribadire che la fine di chi inizia a bucarsi, e non smette davvero, è sempre e soltanto questa: la morte. Secondo, denunciare il fatto che non si parla più di un problema, quello dell’eroina, che non è mai stato risolto e coinvolge ancora tantissima gente, terzo, dire che i figli vanno messi al mondo in maniera responsabile, e fin da piccoli seguiti, rassicurati, amati”. Con queste parole Giorgio Panariello parla del suo dolore, causato dalla morte del fratello minore Franco, trovato cadavere la notte di Santo Stefano, in un’aiuola di Viareggio, per un’overdose di eroina.

È forse dura da credere, essendo abituati a vedere un Panariello solare ed allegro, sul palco e in televisione, ma la sua infanzia, come quella del fratello, non è stata facile:  sono stati entrambi abbandonati dalla madre subito dopo la nascita, e non hanno mai conosciuto i rispettivi due padri – si legge nell’intervista a Vanity Fair-

Solo che Giorgio, nella tragedia, fu più fortunato e venne affidato ai nonni materni mentre il fratello Franco finì in un istituto dove passò i primi dodici anni della sua vita. E, probabilmente, questo può essere uno dei motivi che hanno spinto il fratello minore a cedere all’eroina: “Non sapevo che mio fratello fosse tornato a bucarsi, è stato il classico fulmine a ciel sereno. So bene, però, che un drogato può anche essere fisicamente a posto, ma se non lo è psicologicamente, in maniera assoluta e definitiva, è tutto inutile: sarà sempre a rischio. Per salvarsi bisogna essere forti, e Franco era una persona fragilissima. Nel 2006, dopo sei anni passati a San Patrignano, sembrava “pulito”: durò poco. Poi, dopo tanti alti e bassi, compreso uno spaventoso incidente d’auto, eravamo riusciti a farlo entrare nella comunità di Don Mazzi, dove era rimasto fino al Natale 2010. Adesso pensavo fosse a posto, ma evidentemente dentro aveva ancora una scintilla che non si era spenta. Il 26 sera è tornata fuori la sua debolezza, e gli è stata fatale. Non si muore solo di overdose: se presa dopo tanto tempo, uccide anche una piccola quantità”.

E ancora, in questa straziante intervista in cui appare un Panariello più vero che mai, spiega come è venuto a conoscenza della tragica morte del fratello: “La mattina del 27 mi sono svegliato, ho acceso il portatile, e ho visto che alle 8.30 mi aveva cercato Carlo Conti. Carlo aveva saputo di Franco da un’amica poliziotta di Viareggio che, non sapendo come rintracciarmi, aveva avvisato lui. Quando ho saputo, la mia prima reazione è stata di rabbia: Franco, giurandomi che aveva smesso per sempre, mi aveva preso per il culo ancora una volta. Questo ho pensato lì per lì, anche se poi l’autopsia ha confermato che, prima di quella sera, era stato davvero “pulito” per un lungo periodo. Rabbia, tanta rabbia. Solo dopo è arrivato il dolore. E i ricordi” e ancora: “Franco era incazzato con la vita perché in istituto, da solo, c’era stato lui, non io».

E, alla domanda del giornalista in cui gli viene chiesto cosa avrebbe fatto, se al posto di Franco ci fosse stato lui, Panariello risponde: “Forse avrei fatto la sua stessa vita, e oggi a parlare con lei ci sarebbe Franco. O forse no, non lo so. C’è poco da dire: io sono stato fortunato, lui sfortunatissimo”.