Giorgio Albertazzi, giovanotto di 91 anni: "I miei segreti di giovinezza"

Giorgio Albertazzi, giovanotto di 91 anni: “I miei segreti di giovinezza”

26 Novembre 2014 - di Claudia Montanari

ROMA – Un Mostro Sacro del teatro e non solo, un “giovanotto” di 91 anni in continua evoluzione e aggiornamento. Giorgio Albertazzi è questo e tanto altro: in scena da una vita e in scena in questi giorni nei panni di Shylock -l’ebreo protagonista de Il mercante di Venezia di Shakespeare– Albertazzi si racconta in una intervista a cuore a Rita Sala per il Messaggero.
Il suo elisir di giovinezza? “Eros e lavoro”:
Maestro, qual è il segreto dell’età portata alla sua maniera?
«Racconto sempre – l’ho fatto anche la sera della “prima” romana del Mercante, al teatro Quirino, quando a fine spettacolo la gente mi tratteneva a dismisura con gli applausi – della longevità delle mie nonne. “Non vi libererete di me per un bel po’ di tempo ancora” , ho detto agli spettatori. E ricordavo loro che la mia nonna materna, Leonilde, maestra elementare nel Casentinese, se ne andò a 101 anni. E sua madre Fabiola, che ho fissa in mente, imponente e severa nei suoi abiti bianchi, a 106. In queste cose, la familiarità conta»
Lei ha un fisico asciutto, non insolentito dagli anni. Di cosa si nutre?
«Mangio poco, pochissimo. Non ho mai considerato il cibo un piacere reale. Da una decina d’anni, poi, questo atteggiamento è diventato anche più radicale. Niente carne (a un certo punto, nonostante sia fiorentino, la carne mi è risultata sgradita: mangio due volte l’anno una tartare di qualità, e punto). Molto pesce, moltissima verdura e frutta. Adoro i fichi e le pesche gialle. Acqua naturale, almeno due litri al giorno, per salvaguardare la funzionalità renale. Un bicchiere di vino bianco ogni tanto. L’alcol non è un amico dell’uomo. Una solo volta, in gioventù, mi ubriacai a una cena, in casa di Lea Padovani, sull’Appia Antica. Lo trovai così rivoltante da confermare la mia idea di fondo: proprio non ne vale la pena»
Lei seduttore, idolo del pubblico femminile, cosa pensa degli “aiuti” chimici nell’eros?
«So che ne fanno uso persino i ragazzi giovani, ai quali il cosiddetto progresso impone di farsi rubare la vita a morsi rapidi, inesorabili, impietosi. Che pena. A me non è mai successo di ricorrere a questo tipo di aiuto. Per un motivo, forse: in cima ai miei pensieri non c’è (non c’è mai stato) il possesso. Il gioco dell’eros è fatto d’altro, di attrazione, attesa, consapevolezze. E quando un’altra persona entra nel tuo presente, nei tuoi giorni e nelle tue notti, e diventa un tuo simile, l’eros si mischia con la condizione totalizzante che chiamiamo amore»
Il desiderio scema, con il passare degli anni?
«No, anzi. I desideri rimangono, si affollano senza diminuire. Ma ripeto: non è una questione di possesso. Mi viene in mente una scena del Don Giovanni di Brancati, quella in cui il protagonista, sollecitato da un ragazzo che vuole sapere come sia andata la seduta di sesso con l’amante, scrive sul muro il numero 9. Completamente ridicolo. Il discorso sulla quantità è assurdo. Credo proprio di non avere mai fatto l’amore due volte di seguito: ogni amplesso è un’impresa artistica, unica, senza repliche nell’immediato»
Sul piano della salute fisica, teme qualcosa in particolare?
«Ho sofferto, non molto tempo fa, di una fibrillazione atriale. Che sta prodigiosamente regredendo – mi sono fatto visitare dal miomedico, prima di partire per Palermo – a “fluttuazione”, mi sembra si dica così. Assumo un decoagulante del sangue e tengo la situazione sotto controllo»
La memoria. Quando qualcuno tentò di farle usare gli auricolari, per evitarle la fatica di imparare a mente un intero copione, lei provò solo in un paio di occasioni. Poi preferì tornare all’antico
«Molto meglio. Non si perde il contatto con i sistemi di memorizzazione, che vanno sempre e comunque corroborati, e non ci si toglie il piacere di improvvisare. Gli auricolari uccidono l’invenzione, costringono un attore a “recitare”, gli vietano di “vivere”»
Cosa consiglia alla gente per una buona e lunga vita?
«Vedere spettacoli e film. Osservare il mondo e le persone. E leggere, leggere, leggere. Senza fretta, soffermandosi sulla pagina, evitando le approssimazioni, il gioco dell’apparenza, le imitazioni. Uno dei demoni da esorcizzare oggi, forse il più insidioso, è proprio la velocità. Lo dico da cultore dello sfioramento inteso in senso orfico, che richiede tempo, pensiero, approfondimento. Dice un canto orfico: “Dove sta la profondità? In superficie”. Una specie di rivelazione»