donne a lavoro
Donne e lavoro, i dati parlano chiaro: secondo l’ultimo Gender equality index, il rapporto dell’Istituto europeo per la gender equality (Eige), l’Italia è ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione delle donne al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3).
Meglio non va per quanto riguarda il tempo dedicato alle attività di cura – che ricade ancora culturalmente sulle donne nel 71% dei casi – e per l’occupazione delle donne con figli: la scelta di avere figli grava come un ricatto sulla vita delle donne che lavorano e limita le opportunità di carriera, traducendosi in una scarsa presenza in posizioni decisionali.
Secondo quanto riportato nello stesso indice a fine 2021, il tasso di occupazione femminile è sceso al 49 per cento in relazione al 2020, mentre il divario rispetto agli uomini è salito di 18,2 punti percentuali (rispetto ai 17,9 del 2019). L’occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2%) e nelle isole (33,2%): un dato allarmante perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel sud Italia.
“Siamo di fronte a un fenomeno davvero preoccupante, che si allontana sempre di più dagli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e in modo particolare dall’obiettivo 5 che vede nel raggiungimento dell’uguaglianza di genere una delle sfide più importanti, in particolare nel campo economico lavorativo e della rappresentanza politica – afferma Simona Lanzoni, vice presidente di Fondazione Pangea Onlus – I dati invece parlano di un’occupazione femminile che soffre ancora del gender gap visto che l’88% dei nuovi occupati è uomo, in primo luogo a causa della cultura patriarcale che ostacola l’accesso delle donne al mondo del lavoro”.
“Le ricadute di questa estromissione dal mercato del lavoro sono sotto gli occhi di tutti: il divario retributivo tra donne e uomini impatta negativamente sul prodotto interno lordo e sulla crescita del nostro paese e occorre imporre un’inversione di rotta, attraverso politiche e strumenti efficaci. Per questo, come Fondazione Pangea, promuoviamo l’empowerment e l’indipendenza socioeconomica e finanziaria delle donne, con diversi strumenti per aiutarle a reinserirsi nel mondo del lavoro, a riconquistare la propria autonomia e ad uscire dal controllo e dal condizionamento causato dalla violenza economica”.
“Sarà difficile conseguire risultati soddisfacenti in termini di uguaglianza di genere finché il tema dell’autonomia economico-finanziaria, dell’occupazione femminile e delle pari opportunità non riguarderà tutte e tutti. Ma soprattutto non saremo mai libere, in Italia come in altre zone del mondo, sino a quando non saremo uguali anche nella società in cui viviamo. La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Per eliminare il divario retributivo di genere è necessario risolvere tutte le sue cause profonde, compresa la minor partecipazione delle donne al mercato del lavoro, il lavoro invisibile e non retribuito. Solo un lavoro pagato equamente può garantire la libertà e la piena autonomia delle donne”, conclude Simona Lanzoni.
La onlus organizza tra l’altro un corso per sviluppare idee imprenditoriali e sostiene inoltre le donne nella ricerca di lavoro o nel formarsi dal punto di vista professionale con incontri di alfabetizzazione finanziaria. Inoltre, insieme ad altri centri antiviolenza della rete nazionale Reama, organizza incontri con i principali stakeholder per sostenere l’inserimento delle donne vittime di violenza al mercato del lavoro, per supportarle nel riconquistare la loro indipendenza economica e, quindi, a liberarsi dal ciclo della violenza. E poi è attivo uno sportello sulla violenza economica, per aiutare le donne a riconoscere questa forma di violenza e le sue conseguenze.
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