Crescere un figlio, quanto costa? "Da nascita a 18 anni, quanto una Ferrari"

Crescere un figlio, quanto costa? “Da nascita a 18 anni, quanto una Ferrari”

6 Febbraio 2014 - di Claudia Montanari

ROMA – Crescere un figlio? Dalla culla alla Maturità costa, all’incirca, 170 mila euro spicciolo più spicciolo meno. Quanto una Ferrari.
Ettore Livini su Repubblica dipinge un realistico affresco di quanto, oggi, costi ad un genitore medio crescere un figlio. E, con sorpresa ma nemmeno poi troppa, emergono dei dati che fanno riflettere:
“Traghettare un bambino  dalla culla alla maggior età costa come comprarsi una Ferrari California: si parte dai pannolini  — fino a 1.050 euro l’anno per sei cambi al giorno — si transita da omogeneizzati, Dvd della Peppa pig, paghette (16 euro la settimana  la media italiana), apparecchi  per i denti. Uno scontrino dopo l’altro, il conto totale da zero a 18 anni è da brividi: 171 mila euro (9.500 l’anno) a figlio per Federconsumatori,  180 mila per il Dipartimento statunitense all’Agricoltura cui Washington — manco i figli fossero bestiame — ha affidato il compito di monitorare  statisticamente il caro-bimbo”
Dal 1960 a oggi al netto dell’inflazione, spiega Livini, le spese per far crescere i figli sono aumentate del 23%:
“Abbiamo provato  a risparmiare sull’abbigliamento  (- 50% il costo in 50 anni), sforbiciato il conto per il cibo, calato  dal 25% al 16% del totale. Per il resto la Bebè Spa è un’industria a prova di recessione: stanziamo il doppio del ‘60 per medicine e dottori, sacrificio che ha consentito  agli Stati Uniti di ridurre del50% la mortalità in questa fascia d’età. Alle stelle, +1000%, sono schizzate le uscite per educazione  e benessere”
Daniela Del Boca, professoressa di economia dell’Università di Torino, spiega a Repubblica:
“«Il problema in Italia è lo scarsissimo sostegno pubblico alla crescita dei figli». Il Fondo per i finanziamenti  alle famiglie è sceso dal miliardo del 2007 a 45 milioni,  un’elemosina. Gli stanziamenti sociali a favore di nuclei con bimbi sono l’1,6% del Pil, contro il 2,3% della media Ocse e il 4% della Francia. «Lo Stato  deve riconoscere che un  bambino è un investimento  per il suo futuro», tuona Giuseppe Butturini  dell’Associazione  nazionale famiglie numerose. Roma invece apre il portafoglio con il contagocce:  le detrazioni annue per una famiglia del ceto medio dove entrambi i genitori lavorano «sono  di 700 euro», calcola l’ufficio studi dell’organizzazione. Briciole:  una donna può spendere prima del parto fino a 1.970 euro tra test di gravidanza, analisi, farmaci,  integratori al calcio e arredamento  della cameretta. E dalla nascita alla prima candelina il bebè può costare fino a 14 mila euro.
«Questo in effetti è il periodo in cui è più difficile far quadrare il bilancio  di casa», spiega Del Boca. Ci sono aree del paese dove gli asili nido pubblici coprono solo il 5% della domanda. E visti i limiti ai  congedi parentali  («al  sud le donne  non li  prendono  più per non  venirlicenziate») le mamme italiane sono quelle in Europa più a rischio  di perdere il posto di lavoro. Solo il 59% di loro conserva l’impiego  dopo aver partorito il primo figlio. Una percentuale da paese arretrato visto che in Spagna siamo  al 63%, in Germania al 74% e in Svezia addirittura all’81%”
Cosa si può fare per arginare questo probelma?
“«Bisogna aumentare  il presidio di asili nido dove non ce ne sono — continua Del Boca — . Poi si dovrebbe rimpolpare  il servizio di voucher per il doposcuola a favore dei ragazzi più grandi». Il libro dei sogni anticaro bimbo prevede pure un allungamento  dei congedi parentali  («in Francia sono decisamente  dilatati rispetto ai nostri») e altre  normative di supporto come la supplenza dello Stato quando dopo una separazione il genitore non corrisponde gli assegni familiari.  Come succede già in Svezia e Danimarca. Utopie in un paese a secco di soldi come l’Italia dove la sola istituzione di un giorno di paternità  obbligatorio per i padri — un gesto simbolico — è costato 70 milioni alle casse dello stato. La crisi, come capita sempre, ha allargato il solco tra i privilegiati e i meno garantiti. Nel 1996 — dice il Dipartimento  all’agricoltura Usa — le famiglie più ricche  spendevano  per irampolli il doppio di quelle meno fortunate. Oggi il rapporto è di 2,7 a uno. Far studiare un ragazzo inglese  dai 18 ai 21 anni in uno dei tanti college pubblici del Paese costa, secondo uno studio di Lv, 72mila sterline circa, qualcosa come 85mila euro. Cifra che lievita  a 196mila sterline se si affida la sua educazione a uno degli esclusivi  (e carissimi) istituti privati britannici. Chi può, lo fa. L’amore  per le creature cui teniamo di più — lo sanno tutti — non ha limiti  finanziari. E fare un bambino,  tutto considerato, può essere persino un’affare: mantenere come  si deve un cane nell’Upper East  Side di New York — ha calcolato  la Bloomberg — può costare fino  a 13mila euro l’anno…”