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Su “Amica”: crescere un figlio costa 300.000 euro

ROMA- Sulla copertina del mensile “Amica” in edicola da oggi 23 Marzo spicca una frase: “Dalla culla alla laurea un figlio costa 300 mila euro”. È l’inchiesta condotta dal mensile, che ha fatto emergere come per crescere un figlio o dalla nascita all’università in Italia nel 1965 servivano 20 milioni di lire, oggi 300 mila euro.

Il confronto è partito da un articolo pubblicato da Amica del 1965 con un risultato sorprendente per quei tempi: 20 milioni di lire, l’equivalente, si scriveva: “di una villa in campagna, una ventina di automobili, uno yacht”. Erano gli anni del boom economico, quando un corredino da neonato costava circa 40 mila lire, equivalente a 396 euro odierni. Secondo la stima di Francesco Daveri (docente dell’Università degli Studi di Parma e dell’Università Bocconi) infatti “1.000 lire di allora corrispondono a 9,90 euro di oggi, con una perdita del potere di acquisto di quasi il 50 per cento”. Oggi invece crescere un figlio in Italia costa in media 300 mila euro (più o meno quanto un piccolo appartamento in una grande città) e incide per il 35 per cento sulla spesa familiare, lievitando ulteriormente nel caso di genitori separati (Fonte Cisf – Centro Internazionale Studi Famiglia). La società, poi, non aiuta, come si legge nel rapporto Cisf: “Possiamo dire che un Paese è tanto più arretrato quanto più gli interventi pubblici e privati si concentrano sui costi di tipo 1 (minimo vitale). L’Italia è tra questi Paesi. Una seria politica sociale per le nuove generazioni dovrebbe soprattutto espandersi nella direzione di sostenere i costi del capitale umano e del capitale sociale dei figli”.

Dall’inchiesta di “Amica” emerge che sulla contabilità familiare pesano soprattutto i costi di istruzione – oggi “l’università è un lusso ormai”, afferma un’insegnante di scuola superiore – e sono in aumento le spese per le nuove tecnologie, dal cellulare al computer, mentre per abbigliamento e giochi si cerca di supplire con i regali e il riciclo. In alcuni casi il bilancio obbliga a rinunciare alla baby-sitter o all’asilo nido, considerando anche che, secondo i dati Istat, solo nel 30 per cento dei comuni italiani sono presenti strutture pubbliche. Inevitabile quindi risparmiare con non poche rinunce per i genitori, dagli svaghi alle vacanze, fino alle opportunità professionali e di studio all’estero. Si cerca poi di educare i ragazzi al senso di responsabilità e a uno stile di vita meno consumistico, anche se “non è facile”. Tutte le mamme intervistate però concordano nel dire che quando si tratta di un figlio “non sono rinunce che pesano”.

Claudia Montanari

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