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Pakistan, lezioni di educazione sessuale a scuola tra pericoli e polemiche

BANGKOK – Lezioni di educazione sessuale a scuola. Accade in Pakistan dove il ministro insorge: “Fermatele”.

700 ragazzine delle scuole elementari e medie, dagli 8 anni in su, in un villaggio del Sindh partecipano a delle lezioni di sesso impartite da maestre e esperti di una Organizzazione non governativa pachistana, scatenando critiche e allarmismi da parte del governo.

A raccontare la vicenda è Raimondo Bultrini che scrive su Repubblica:

“Col velo bianco dell’Islam e gli occhi divertiti o imbarazzati, 700 ragazzine delle scuole elementari e medie di un villaggio del Sindh ascoltano le lezioni di sesso impartite dalle loro  maestre e dagli esperti di una Organizzazione non governativa pachistana. Non è parte di un programma scolastico nazionale,  perché potrebbe rivelarsi estremamente rischioso in un Paese dove i fondamentalisti religiosi  vedono di cattivo occhio perfino il fatto che le femmine vadano  a scuola. Ma nel villaggio di Johi, dove avviene l’esperimento delle scuole gestite dalla Shadabad  Organisation, gran parte delle  famiglie sono tradizionalmente  tolleranti, e hanno capito l’importanza  di preparare le loro figlie  alla pubertà e maturità sessuale  senza doverne necessariamente parlare a casa. “

Chi partecipa alle lezioni? E come sono viste dalle bambine queste lezioni?
“Alle lezioni partecipano bambine  dagli 8 anni in su, e i maestri riferiscono del loro entusiasmo quando gli viene chiesto che cosa  farebbero se un uomo tentasse  di palpeggiarle. «Griderei», «lo morderei», «lo graffierei con le unghie», risponde un coro dalle file della classe. Il programma non si limita però alla psicologia della difesa personale dalle aggressioni,  che non sono affatto infrequenti soprattutto nel Pakistanrurale. Parlare di sesso pubblicamente  è considerato haraam, ovvero non consono alle leggi dell’Islam,  praticate dalla stragrande maggioranza della popolazione. Johi non fa eccezione, con il 100 per cento di musulmani, ma l’iniziativa  della Ong — che oltre a gestire  le scuole si occupa dell’educazione di base delle popolazioni locali — cade su un terreno particolarmente  fertile. «Anche se il programma è finanziato da una società australiana che gestisce delle stazioni di gas BHP Billiton — dice il coordinatore Akbar Lashari  — l’idea è venuta dalle stesse  famiglie. Del resto non possiamo chiudere gli occhi e ignorare un argomento che fa parte della nostra vita». Altro tema tabù toccato  nelle affollate lezioni è quello  dello stupro coniugale, del quale si parla ancora meno, per la paura che possa scatenare un delitto  d’onore o ulteriori abusi. Il rischio, che nessuno si nasconde, è quello di trasformare centinaia  di ragazze in tante potenziali Malala, la studentessa ferita dai Taliban, divenuta un simbolo della lotta per l’emancipazione femminile in Pakistan”
Il metodo sembra piacere:
“L’interesse per l’esperimento del piccolo villaggio sembra aver mosso altre istituzioni importanti a livello nazionale, come il Sistema Beaconhouse, che sta considerando di adottare il tipo di educazione sessuale praticata a Johi. Perfino un sacerdote moderato  del Consiglio degli Ulema ha dato la sua benedizione alle lezioni  che secondo lui sono consentite  dalla legge islamica della Sharia purché «limitate alla teoria  » e impartite da «insegnanti di sesso femminile».
Anche se le polemiche e le critiche non mancano:
“Ma già un altro prestigioso college, la Grammar School di Lahore, è stato costretto  a eliminare la materia di sessuologia.  Per capire il clima, il presidente della federazione delle  scuole private pakistane a capo di oltre 150mila istituti scolastici ha detto che l’insegnamento di tale delicata materia «è contro la nostra Costituzione e contro la religione». Sulla stessa linea è il ministro dell’istruzione della provincia del Sindh, che si è detto  scioccato alla notizia di un esperimento del genere nella sua regione. «L’educazione sessuale per le ragazze? Come possono fare  una cosa del genere? — ha detto  il ministro — . Non fa parte del nostro curriculum, né alla scuola pubblica né privata»”
Claudia Montanari

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