Sindrome metabolica, caffè può ridurre i rischi

Sindrome metabolica, caffè può ridurre i rischi

11 Dicembre 2019 - di Silvia_Di_Pasquale

Il caffè può essere un alleato contro il rischio di sindrome metabolica. Obesità o sovrappeso, pressione alta, diabete di tipo 2, colesterolo alto. Sono questi cinque problemi che, insieme, vengono così definiti. Il consumo di caffè, da una a quattro tazze al giorno, è associato a un rischio ridotto di sindrome metabolica.

“La sindrome metabolica si verifica quando una persona ha una combinazione di diversi fattori di rischio, tra cui ipertensione, colesterolo anormale, obesità e zuccheri nel sangue elevati. Gli altri nomi includono la sindrome da insulino-resistenza o la sindrome X ”, ha spiegato Seogeun Naomi Hong, specialista in medicina interna presso il St. Joseph Hospital di Orange, in California, come si legge su Healthline.

Tra le conseguenze legate alla sindrome metabolica ci sono rischi di disfunzione erettile e ipertrofia protatica benigna, ma anche tumore della prostata, del rene e della vescica. Per quanto riguarda il diabete di tipo 2 i dati italiani (Istat 2018) evidenziano una progressiva crescita dell’incidenza nel corso degli ultimi decenni superando ormai il 5% della popolazione (più di 3,2 milioni di italiani).

Mentre l’ipertensione colpisce nel nostro paese più di un italiano su 3, con una diversa distribuzione geografica e con punte nel Sud Italia anche del 45%. Da molti anni è noto che la sindrome metabolica aumenta significativamente il rischio non solo di eventi cardiovascolari (infarto miocardico, ictus), ma anche di molte neoplasie e di patologie cosiddette ‘funzionali’, tra cui quelle urologiche.

Il primo intervento dovrebbe essere proprio rimettere in sesto lo stile di vita, l’alimentazione, ripristinando anche una giusta quantità di attività fisica. Ma prima ancora consultarsi con il proprio medico per avere tutti i consigli autorevoli necessari.

La sindrome potrebbe essere trattata anche con l’Ibrutinib, un farmaco già in commercio per la cura di altre malattie. La scoperta è contenuta in uno studio del centro Cosbi e del Dipartimento Cibio dell’Università di Trento pubblicato oggi su Nature Communications, che conferma l’efficacia del “riposizionamento”, nuova frontiera della ricerca farmacologica.
   

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