Pane, pasta, riso: quali tipi per una scelta salutare

Contrasta stitichezza e il diabete con il pane di segale

16 Maggio 2019 - di Claudia Montanari

ROMA – Che i cereali integrali facciano bene all’organismo e al nostro intestino è cosa nota. Ora, uno studio ha dimostrato che alcuni cereali integrali aiutano non solo a regolare la salute dell’intestino ma anche allontanare il rischio di diabete di tipo 2. Tutto merito della capacità delle fibre integrali di abbassare i livelli di serotonina prodotta dall’intestino, ormone in grado di regolare la peristalsi, quindi l’attività digestiva. Il consumo di fibre ridurrebbe la produzione di questa sostanza da parte dell’intestino.

Gli studi degli ultimi anni hanno dimostrato, a vario titolo, che mangiare cereali integrali e cibi che li contengono possono aiutare a mantenere un intestino sano, a prevenire il diabete e a ridurre il rischio di cancro al colon retto. Sebbene sappiamo che consumare cereali integrali ci porta benefici, non è chiaro quali meccanismi biologici siano in gioco.

Un nuovo studio ha suggerito che il consumo di segale integrale e grano di segale influiscano sul metabolismo dell’intestino. I risultati di questo studio sono importanti perché possono dare una risposta al perché i cereali integrali possono aiutare a prevenire problemi intestinali, diabete e condizioni come il cancro del colon-retto. Gli scienziati della University of Eastern Finland a Kuopio insieme all’International Agency for Research on Cancer di Lione, hanno scoperto che consumare segale o grano integrale può avere un impatto sui livelli di serotonina nel sangue, con implicazioni per la salute. La ricerca è stata pubblicata sul The American Journal of Clinical Nutrition. Gli scienziati hanno analizzato il modo in cui il grano influenza la concentrazione di diversi metaboliti nel sangue – prima nell’uomo e poi nei topi. Per la prima parte della ricerca, sono stati reclutati 15 partecipanti adulti. Per 4 settimane, i partecipanti hanno mangiato da 6 a 10 fette di pane a bassa quantità di fibra di frumento al giorno. Poi, per altre 4 settimane, hanno assunto da sei a 10 fette al giorno di pane integrale di segale o pane integrale con fibre di segale. A parte questo, non è stata apportata alcuna modifica alla dieta dei partecipanti. Sono stati raccolti i campioni di sangue di ciascun partecipante sia alla fine del primo periodo di 4 settimane e poi dopo le successive 4 settimane, così da poter confrontare i campioni e gli eventuali cambiamenti determinati dal consumo di cereali integrali. I campioni di sangue hanno indicato che le persone che avevano aggiunto la segale integrale nella loro alimentazione avevano livelli di serotonina nel plasma significativamente più bassi, rispetto a quando avevano mangiato pane bianco a basso contenuto di fibre.

Nella seconda parte della loro ricerca, gli scienziati hanno lavorato con i topi nel tentativo di scoprire se l’introduzione della fibra di cereali nella dieta può influenzare i livelli di serotonina prodotta dall’intestino. Non tutti sanno infatti che anche l’intestino è in grado di produrre la serotonina in modo indipendente, che utilizza per alcune funzioni come la regolazione della motilità intestinale e la capacità dei muscoli del tratto gastrointestinale di rilassarsi e contrarsi. Durante la ricerca, i topi sono stati alimentati con crusca di segale, crusca di frumento e farina di cellulosa per un periodo di 9 settimane. I roditori che erano stati alimentati con la segale o la crusca di frumento avevano livelli di serotonina molto più bassi nel colon, rispetto ai roditori a cui era stata data farina di cellulosa. Questi risultati potrebbero spiegare perché il consumo di cereali integrali potrebbe aiutare a prevenire il diabete, dal momento che alti livelli di serotonina nel plasma sono anche associati ad alti livelli di zucchero nel sangue. “I cereali integrali, d’altra parte, sono noti per ridurre il rischio di diabete, e sulla base di questi nuovi risultati, l’effetto potrebbe almeno in parte essere dovuto a una diminuzione dei livelli di serotonina”, spiega il co-autore dello studio Kati Hanhineva.

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