Emicrania, gli anticorpi monoclonali promettono bene

Emicrania, gli anticorpi monoclonali promettono bene

23 Gennaio 2023 - di Silvia_Di_Pasquale

Quasi otto pazienti su dieci affette da emicrania sono donne. L’esordio della patologia si registra in media a 21,4 anni di età, contro i 26,1 anni degli uomini. Nelle prime la malattia si manifesta in maniera precoce, prima dei 18 anni, ma molte di loro trascurano il problema nel corso della vita. Il mal di testa invece non andrebbe trascurato e la soluzione migliore è rivolgersi a un neurologo per trovare una cura ad hoc.

Attualmente c’è un grande fermento scientifico nel campo dello studio dell’emicrania. Uno dei temi centrali sono gli anticorpi monoclonali, tra le ultime novità in fatto di cure e di cui gli studiosi vogliono approfondire meglio le opportunità di collocamento nello scenario terapeutico. Ma c’è anche molta ricerca di base, per offrire una soluzione anche a tutti i pazienti che a questi farmaci non rispondono.

Cosa è emerso dal congresso sull’emicrania.

A fare il punto, dopo il sedicesimo congresso a Vienna della European Headache Federation che si è tenuto dal 7 al 10 dicembre, è stata Simona Sacco, professoressa di Neurologia presso l’Università dell’Aquila. All’interno del congresso vi è stato un simposio, denominato “Navigating the clinical complexity of migraine prevention in the real world”, nel quale si è parlato anche di un anticorpo monoclonale messo a punto da Teva. Il primo punto su cui ci si è focalizzati riguarda lo studio Pearl, uno studio paneuropeo in cui vengono inclusi da diversi centri dislocati in tutta Europa pazienti che nella vita reale ricevono il trattamento con questo farmaco.

“Sono stati presentati dati preliminari su un’analisi ad interim perché lo studio è ancora in corso – rileva Sacco – ma questi dati ci fanno vedere che nella vita reale la risposta a questo anticorpo monoclonale è migliore di quelle che erano le attese basandosi sui risultati degli studi clinici randomizzati”.

“Questo – prosegue l’esperta – è un dato importante, se si tiene conto che negli studi che hanno portato poi all’approvazione del farmaco erano inclusi pazienti con un basso impatto dell’emicrania e che non avevano alle spalle precedenti fallimenti terapeutici. Nello studio Pearl i pazienti esaminati erano invece molto complessi, con alto impatto dell’emicrania e che avevano già fallito precedenti terapie. È stato riscontrato un 50% in più di ‘responders’, cioè di persone che hanno risposto alla terapia”.

“Un altro dato – aggiunge Sacco – è relativo invece allo studio Finesse, effettuato in Germania e Austria su 150 pazienti trattati con l’anticorpo monoclonale di Teva dopo essere prima passati per una terapia orale poi per un altro anticorpo monoclonale che avevano fallito. Anche in questo gruppo specifico e complesso di pazienti, si è osservato che l’anticorpo monoclonale di Teva dava dei tassi di risposta tra il 35 e il 40%. Un risultato davvero positivo, se si pensa che questo trattamento era per questi pazienti una sorta di ultima spiaggia”. FONTE: ANSA.

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