Su Mente e Cervello, un articolo di Andrea Castiello d’Antonio illustra caratteristiche e rischi di questa patologia.
Il tratto più subdolo della dipendenza da lavoro è il suo essere congruente (al contrario della maggior parte delle altre dipendenze) con le aspettative sociali: essere produttivi, infatti, è una delle attese più pressanti della società in cui viviamo.
Figure che sacrificano il loro intero essere sull’altare del lavoro fanno comodo a molte realtà organizzative, talmente orientate all’obiettivo da non stare a sottilizzare sulla salute e la sicurezza dei propri lavoratori, sul loro s, e, in fin dei conti, sulla qualità della vita (ma anche del lavoro) di questi collaboratori.
Il “dipendente da lavoro”
- ricava un vero piacere dall’essere sempre impegnato, anche se potrà lamentarsi del fatto che “senza di lui le cose non vanno avanti!” e che è costretto a occuparsi di tutto.
- tollera poco e male le persone che non vivono come lui il rapporto con il lavoro
- incide pesantemente sul clima interno, esercitando sugli altri la pressione che egli esercita su se stesso
- spesso è perfezionista, rigido, focalizzato su ciò che non va
- è distante dagli aspetti “umani” del rapporto lavorativo (analfabetismo sentimentale)
L’organizzazione spesso tollera o addirittura apprezza questi profili, specie se la sua cultura non presta la dovuta attenzione alla salute ed al benessere organizzativo, scambiando la dipendenza da lavoro con affezione e identificazione con la cultura aziendale. In realtà, il workaholic è caratterizzato da complusività, ripetizione, inserimento in un circolo vizioso nocivo per la salute, focalizzazione totale sulla propria identità professionale.