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Categorie
psicologia

Quante volte capita di trovarsi su un mezzo pubblico o per strada tra altre persone e di ascoltare le loro conversazioni telefoniche?

  • Autore articolo Di rcostantini
  • Data dell'articolo 30 Settembre 2010
  • 1 commento su Quante volte capita di trovarsi su un mezzo pubblico o per strada tra altre persone e di ascoltare le loro conversazioni telefoniche?

E quanto è difficile concentrarsi sull’attività che si stava svolgendo e cercare di non origliare. Un gruppo di ricercatori della University of British Columbia in collaborazione con Lauren Emberson, della Cornell University, si sono posti il problema del perché sia così difficile non concentrarsi sulla conversazione telefonica altrui, ed è emerso che il problema non è l’eccessiva curiosità.

Lauren Emberson, ricercatrice a capo del progetto, spiega che il nostro cervello reagisce allo stimolo del “mezzo-dialogo” e che l’incapacità di predire le risposte mancanti dell’interlocutore al di là della cornetta catturano la nostra attenzione, impedendo la concentrazione sulle altre attività che vorremmo svolgere. Lei stessa ha affermato: “Non c’è modo di non ascoltare. Vorrei provare a leggere o ad ascoltare della musica, ma sento come se non potessi continuare con quelle attività”.

La ricerca ha coinvolto dapprima due ragazze, che poste in due stanze diverse hanno effettuato una conversazione di circa 1 minuto. La “mezza-conversazione” è stata fatta ascoltare ad un gruppi di 24 soggetti, impegnati in due attività che richiedono la stessa attenzione della guida di un auto: la prima attività consiste nel tracciare una linea sullo schermo del computer, paragonabile alla concentrazione nel tenere la strada alla guida, la seconda richiede di memorizzare 4 lettere dell’alfabeto e di selezionare le lettere da un monitor dove appaiono in rapida sequenza casuale dei simboli, analogo al riconoscere in strada i segnali luminosi.

Ripetendo l’esperienza con in sottofondo un dialogo completo od un monologo i soggetti hanno dimostrato maggiore concentrazione rispetto ai “mezzi-dialoghi”, commettendo un numero di errori nello svolgere l’attività a loro affidata decisamente minori. La traccia registrata è stata successivamente modificata, in modo che la voce umana fosse appena percettibile, come quando si parla sott’acqua, e l’esperimento è stato ripetuto su un gruppo di 17 studenti a cui è stato richiesto di svolgere le stesse attività dei precedenti.

Il risultato ha dimostrato che le proprietà acustiche della conversazione non modificano il grado di attenzione e che i mezzi dialoghi catturano la nostra attenzione a causa delle informazioni mancanti, non a causa del volume del tono di voce, che spesso ci appare più alto solamente perché è maggiore la nostra concentrazione.

Lo psicologo inglese Gerry Altmann dell’Università di York ha commentato la pubblicazione della Emberson sostenendo che “è interessate capire in che modo esattamente i mezzi-dialoghi siano così dirompenti, specialmente usando le conversazioni al telefono, che costituiscono una reale attività a cui tutti siamo soggetti”.

Non si tratta dunque di essere semplici “impiccioni”, anche se l’eccessiva curiosità per gli affari altrui di sicuro non aiuta, ma è il nostro cervello che non può fare a meno di ascoltare e completare un discorso in cui manca buna parte dell’informazione. Nessuno può dubitare che questa possa essere una scusa eccellente per tutti coloro che amano spiare gli altri, ma di certo la distrazione che l’involontario spionaggio ci provoca può essere dannosa, specialmente se stiamo svolgendo attività come la guida o che richiedono particolare concentrazione.

  • Tag lauren emberson, mezzo-dialogo, università di york, university of british columbia

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