Diabete, nuovo farmaco riduce danni ai reni

Diabete, nuovo farmaco riduce danni ai reni

19 Settembre 2016 - di Mari

MONACO (GERMANIA) – Diabete, arriva il farmaco che riduce i danni ai reni e previene il rischio di malattie cardiovascolari. 

Il farmaco è stato presentato al 52/mo Congresso dell’Associazione europea per lo studio sul diabete (Easd) a Monaco di Baviera. Dopo i significativi risultati ottenuti sulla riduzione del rischio cardiovascolare, un’altra conferma arriva dunque per la molecola liraglutide dai nuovi dati dello studio LEADER presentati al Congresso.

Il farmaco riduce infatti la progressione dei danni renali negli adulti con diabete tipo 2 ad elevato rischio cardiovascolare: lo studio ha dimostrato che il farmaco ha ridotto in maniera statisticamente significativa, del 22% rispetto al placebo, la comparsa o il peggioramento di danni renali.

La nefropatia diabetica, e le conseguenti malattie renali che possono portare anche all’insufficienza renale e quindi alla dialisi e alla necessità di trapianto del rene, è molto frequente: “Colpisce quasi il 40% delle persone con diabete – ha spiegato Johannes Mann, sperimentatore dello studio LEADER e professore di Medicina presso il Dipartimento di nefrologia e ipertensione dell’Università di Erlangen-Nuremberg, Germania -. I maschi con diabete tipo 2 corrono un rischio sei volte maggiore, rispetto ai non diabetici, di sviluppare questa condizione, che rappresenta anche un significativo fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. I risultati dello studio leader hanno quindi una notevole rilevanza clinica”.

Lo studio ha valutato gli effetti a lungo termine di liraglutide rispetto a placebo, entrambi aggiunti alla terapia standard. Avviato a settembre 2010, ha coinvolto 9.340 pazienti di 32 Paesi. I risultati hanno anche evidenziato come l’insorgenza di un primo evento cardiovascolare come infarto o ictus in questi pazienti sia ridotto del 13%, su un follow up di 3,8 anni, con liraglutide rispetto al placebo. Liraglutide, inoltre, ha diminuito, rispetto al placebo, del 22% il rischio di morte per cause cardiovascolari.

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