Pierre Bergé racconta Yves Saint Laurent tra amore, affari e sregolatezza

Pierre Bergé racconta Yves Saint Laurent tra amore, affari e sregolatezza

7 Ottobre 2014 - di Claudia Montanari

ROMA – Amore, passione, complicità. Affari e soldi, tanti soldi, e ancora amore, e genio e follia. Pierre Bergé e Yves Saint Laurent: se si dovessero descrivere in termini, forse questi sarebbero i più appropriati.

Legati per la vita in tutti i sensi, hanno avuto bisogno l’uno dell’altro per completarsi, e completare: un progetto di vita e di lavoro. Un sodalizio umano e professionale che ha dato vita ad un impero, quello della maison YSL, e ad un pezzo di storia della moda. Saint Laurent, stilista geniale e visionario, da sempre e per sempre tormentato da una fragilità psichica che lo ha portato spesso in bilico tra sregolatezza ed eccessi. E poi Pierre Bergé, uomo d’affari freddo e razionale, minuzioso e preciso che è riuscito a sfruttare il genio di Yves e creare l’impero di moda conosciuto in tutto il mondo.

In occasione della mostra di ritrattii di Hedi Slimane, Pierre Bergé, da sempre molto riservato, ha deciso di condividere a Simone Marchetti per D di Repubblica i suoi ricordi e la sua vita insieme a quello che è stato il compagno e l’amore di una vita:

“Impossibile non iniziare da Yves. Qual è la cosa che le manca di più di Saint Laurent?
«Difficile dirlo. No, anzi: il suo genio».

Cosa si prova a vedere il lavoro di Yves oggi, sulle passerelle degli altri stilisti? Cosa pensa di chi lo cita e lo prende a modello, come fa per esempio Prada?
«Conosco bene Miuccia Prada. E comprendo, rispetto e ammiro quello che sta facendo. Impossibile non notare quanto le piaccia Saint Laurent. Ma il legame di Yves con la moda di oggi è un’argomento più profondo e vasto. Si tratta di un’eredità pesante e difficile da comprendere, perché è stato lo stilista che ha cambiato la storia della moda. Come ha fatto? Ha compiuto un azzardo, come nelle leggende mitologiche: ha avuto il coraggio di lasciare l’Olimpo dei couturier e di scendere sulla terra. Si è immerso nella strada, nella realtà, nella vita del suo tempo. E da lì è risalito alla moda e alla sua poetica».

Ha detto che l’haute couture è morta. Cosa intendeva?
«Intendo quello che quelle parole vogliono dire: l’alta moda oggi non significa nulla. Per due motivi. Il primo è che i designer continuano a citare il passato, nelle ultime sfilate ho visto persino un marchio riportare in pedana gli abiti e le forme di Versailles. Ma che vuol dire? Vi sembra plausibile, con la rivoluzione mediatica in atto? È ridicolo indugiare nella nostalgia. Ed è inutile divagare in sperimentalismi come fecero Pierre Cardin e Courrèges quando, negli anni 60, ci vedevano tutti vestiti da astronauti. Lei oggi vede qualcuno vestito da astronauta per le strade? La verità sta nel presente, nella contemporaneità: Yves guardava quella, nient’altro. Il secondo motivo è di carattere storico: l’haute couture era un’arte di vivere che ha accompagnato un’élite culturale nel decennio prima e dopo la Seconda guerra mondiale. Non è mai stata l’abito dei ricchi e nemmeno qualcosa da mostrare ai party. Vederla ridotta a un capriccio per mogli di magnati è triste. Di più: la maggior parte degli atelier è in perdita e viene tenuto in piedi solo per vendere profumi e borsette. Come vede, l’haute couture è morta».

Cosa dovrebbe fare uno stilista oggi?
«Io non sono uno stilista e quindi non mi piace dare consigli. Posso solo valutare ciò che vedo da qualche decennio: creativi che si chiudono nei loro atelier e nei loro deliri. I più moderni di tutti? Zara e H&M. Forse Prada. Tutti attenti al mondo che cambia, alle sue contraddizioni, alla sua realtà».

Cosa pensa di Hedi Slimane, oggi a capo di Saint Laurent?
«Hedi mi è sempre piaciuto. Ha molto talento ed è caparbio. Penso che a volte abbia ragione, altre no. Ma questo non è importante. Sono felice quando vedo le sue collezioni, mi piace la direzione verso cui conduce la nave. È un fantastico osservatore del presente. E sa perché? Perché è fuggito dall’Europa e vive a Los Angeles. Il suo sguardo è privo di nostalgia e pregiudizi»

Perché l’America è meglio dell’Europa?
«L’Europa è al collasso perché si sta chiudendo su se stessa e sul passato. In tanti, troppi ambiti. E la moda, riflesso della società, lo testimonia. Non è un caso se italiani e francesi la snobbano sempre di più, mentre altri Paesi l’ammirano e la seguono».

A suo parere, la politica e le istituzioni italiane potrebbero aiutare il fashion system a ribaltare la situazione?
«La politica non è mai servita alla moda. Non credo nelle istituzioni a servizio del fashion system. Sa in cosa credo? Nel talento. Il vero talento si fa strada da solo. Ed emerge, distrugge, cambia, sconvolge. Senza marketing né aiuti finanziari né leggi ad personam».

Cosa dovrebbe fare un giovane, oggi, per emergere?
«Bella domanda. Difficile, però. Davvero non saprei».

La pongo in un altro modo: cosa farebbe se avesse 20 anni?
«Non lo so. Forse farei il terrorista. Poi guardo a quello che succede oggi e capisco l’inconsistenza di questa affermazione. Però ne apprezzo la provocazione. Viviamo in un’era di politically correct, termine odioso che per me rappresenta la morte dell’intelligenza. Bisogna tornare a essere radicali e a seguire le proprie convinzioni senza paure, fino in fondo».

Viviamo un’epoca di rivoluzione mediatica. Lei è un editore di giornali. Come vede il cambiamento di internet? Come ci si deve comportare a riguardo?
«Mi spiace ma non ho una risposta a questo grande, enorme punto di domanda. L’informazione di oggi è incontrollabile. E a riguardo della sua rivoluzione, sono piuttosto pessimista».

Qual è l’errore più importante che ha fatto nella sua vita?
«Tanti. Troppi. Il mio più grande errore è stato innamorarmi di Yves. Mi ha cambiato la vita. E mi piace guardarlo come un destino che si doveva compiere. Costi quel che costi».

Ha incontrato molte donne eccezionali. Quali sono quelle che l’hanno influenzata di più?
«Coco Chanel: la prima a fare la rivoluzione, la più arcigna, la migliore, una donna difficilissima e meravigliosa. Marie-Laure de Noailles: audace, con un gusto pazzesco, il suo hotel particulier in place des États-Unis a Parigi è la casa più bella che abbia mai visto nonché il ritrovo della migliore umanità mai incontrata. E Marguerite Duras, una grande amica e una grande scrittrice. Queste donne non avevano solo stile, la loro vita era il loro stile. Mi mancano tutte. Terribilmente. Ma così è la vita, tutto passa e scorre via».

A proposito di ciò che passa: ha venduto l’immensa collezione d’arte accumulata con Saint Laurent. Come ci si sente a lasciar andare una cosa così importante?
«Lei pensa di essere importante? Lei pensa che io sia importante? Se è così, si sbaglia. Noi non siamo importanti. E non lo sono nemmeno le cose magnifiche che creiamo o accumuliamo. Cos’è importante? La libertà. Agire. Avere delle convinzioni. Tutto il resto passa e scorre via. Nel mentre, in quel breve tratto che è la vita, consiglio di combattere fino in fondo per quello in cui si crede veramente. Il resto è presunzione».