Caro Mario, guarda che i “negri” in campo corrono…

25 Giugno 2014 - di Claudia Montanari

Caro Mario, mi chiamo Claudia e ho 29 anni (il prossimo 30 giugno, ed è anche una data importante e per colpa sua l’ho pure ricordato, che sarà l’ultima volta che avrò il 2 come primo numero davanti alla mia età).

Non ho scelto di essere italiana ma in Italia ci sono nata e ho sempre scelto di restare, perché questo è il mio Paese.

A 23 anni ero al terzo anno di Università. Era l’anno in cui ho lavorato da Coin e non per pagarmi gli studi (che da qui a fare il piagnisteo il passo è troppo breve). Ci lavoravo, invece, per non pesare più di tanto sulle tasche dei miei, e tutto ciò che era al di fuori degli studi, almeno, cercavo di pagarmelo da me.

Tornando a noi, caro Mario, mi dispiace che il suo sfogo sia così livoroso. Mi dispiace dover constatare che invece di  analizzare punto per punto cosa lei abbia sbagliato, sia sempre alla ricerca di un alibi. Mi dispiace dover ammettere che abbia utilizzato ancora una volta, in campo come nella vita quotidiana, una scusa per giustificare un fallimento. Non solo suo, chiaro, ma anche. Anche suo.

Mi dispiace che per l’ennesima volta abbia utilizzato il colore della pelle come una scusa per dribblare i problemi e scavalcarli, un po‘ sgangheratamente, proprio come quel fallo che le è costato l’ammonizione in una partita di calcio così importante per tutti noi.

Non si chiede mai, lei, perché la criticano tutti, persino i suoi compagni di squadra? Non le è mai venuto in mente di prendersi un DVD (o un video su youtube, che adesso va più di moda) e analizzare i suoi movimenti in campo e fuori, passo passo?

E non si parla qui dei gol che poteva fare e che non ha fatto. Quelli fanno parte del gioco e che la squadra non possa riporre tutte le proprie speranze esclusivamente su un solo giocatore è chiaro.

Qui parliamo di atteggiamenti. Parliamo di grinta. Parliamo di spirito di sacrificio per una squadra.
Parliamo del fatto che lei avrebbe potuto prendere esempio da campioni veri, perché aveva l’opportunità di averli accanto. Da leader discreti e silenziosi come Andrea Pirlo che negli anni (per rimanere in tempi recenti) ci hanno resi orgogliosi di quella maglia azzurra. Che forse alla soglia dei 35 anni non corrono più come prima, ma che in campo danno l’anima e il cuore e si vede dagli occhi e si vede da come accarezzano quel pallone con i piedi.

Parliamo di orgoglio, caro Mario. E non il suo, ma quello di una Nazionale che, vuoi o non vuoi, è così importante per il nostro popolo. Perché noi a quella maglia ci teniamo. E non ce ne frega niente se a volte ci tacciano di essere superficiali, perché se in mezzo a tanti problemi abbiamo ancora voglia di guardarci una partita davanti una tv con una pizza e una birra in mano, nessuno mai avrebbe il diritto di biasimarci.

E lei caro Mario, invece di approfittare di tutto quello che il destino le ha dato, lei ha sprecato le energie a rotolarsi per terra. A discutere con l’arbitro e a fare falli tattici, ma nemmeno troppo tattici.

 

Parliamo di tante cose, Mario. Di determinazione. Veda, la parola orgoglio può facilmente essere declinata in qualche suo sinonimo. E nel giro di un paio di lettere può diventare altezzosità, spocchia o superbia.

Lei l’ha messa, come sempre, sul lato della sua pelle. Ha parlato di africani. Ha detto che loro non scaricherebbero mai un fratello. Parla, senza dirlo mai ma nemmeno troppo sottilmente, di razzismo. E usa la parola “negro” parandosi dietro il video di un idiota qualsiasi.

Il giorno che capirà caro Mario che a nessun tifoso della nostra nazionale interessa il colore della sua pelle, per lei sarà una grande conquista.
Il giorno che si metterà in testa che a noi interessa cosa c’è sotto quel colore di pelle, cosa Mario Balotelli ha nella testa, nelle gambe e nei piedi, forse, allora diventerà il mio campione.

Personalmente, fino ad ora, sotto la sua pelle io ho visto solo un ragazzino viziato che le vuole tutte vinte. Uno di quelli che io, al tempo dell’Università, schivavo allegramente. Ecco, ora, forse, abbiamo trovato il motivo per cui i suoi compagni la scansano.

Si ricordi, Mario, che lei è stato il primo a scaricare i suoi compagni, lasciandoli soli nella loro “battaglia” contro gli avversarsi, impegnato nella sua lotta contro se stesso e contro il suo carattere.

Infine, in tutta questa sua dichiarazione sulla “negrità”, vorrei buttarla sull’ironia che forse è pure meglio.
Perché si ricordi che, comunque, i “negri” come li chiama lei, in campo corrono. Lei no.